APPUNTI DALLE LEZIONI TENUTE DA ADRIANA MARBINI PRESSO L’UNIVERSITA’ POPOLARE DI PARMA.

LE IMMAGINI E ALCUNE FRASI VIRGOLETTATE SONO TRATTE DA WIKIPEDIA

Tabella dei Contenuti

Le molecole preziose dei principi nutritivi (1° lezione 02/02/2023)

PRINCIPI NUTRITIVI

Si dividono in Macronutrienti (forniti all’organismo in maggior quantità, grammi o decine di grammi) e Micronutrienti (immessi in quantità molto più esigue, dell’ordine del milligrammo o meno).

Macronutrienti:

  • Carboidrati: devono essere il 45%-60% di quello che mangiamo)
  • Proteine (10%-12%) circa 1 grammo per Kg di peso corporeo
  • Grassi (20%-35%)

I macronutrienti vengono usati dall’organismo per produrre energia; questa energia viene usata per l’attività fisica che svolgiamo durante la giornata (e quindi variabile a seconda dell’attività fisica svolta) e per il normale funzionamento dei nostri organi interni: (temperatura corporea, il lavoro del muscolo cardiaco, dei polmoni viene detto consumo di base e dipende dal peso corporeo, dal sesso, dall’età, dal clima…).

Con i cibi ingeriamo anche acqua e fibre che non forniscono energia ma sono essenziali per il corretto funzionamento dell’organismo.

Anche l’alcool che noi assumiamo fornisce calorie ma si tratta di calorie “vuote” più dannose che utili.

Micronutrienti:

  • Vitamine
  • Sali minerali

Si tratta di nutrienti che non apportano calorie, ma la cui presenza è indispensabile per il corretto funzionamento dell’organismo.

CARBOIDRATI

Sono la fonte energetica principale, sono detti anche glucidi o glicidi. Sono sostanze organiche costituite da carbonio, idrogeno e ossigeno; ogni grammo di carboidrato fornisce un’energia di cica 4 calorie; si suddividono in monosaccaridi, disaccaridi e polisaccaridi a seconda che siano formati da una sola molecola di zucchero  (monosaccaridi), 2 molecole di zucchero (disaccaridi) o più molecole di zucchero (polisaccaridi).

I più importanti monosaccaridi sono il glucosio (la cui concentrazione nel sangue è detta glicemia), il fruttosio e il galattosio.

Fra i polisaccaridi di origine animale sicuramente il più importante è il glicogeno; infatti nell’organismo sono presenti circa 350-500 g di carboidrati, quasi tutti sotto forma di glicogeno: 250-400 g nei muscoli e 80-100 g nel fegato.

Durante uno sforzo muscolare (per esempio una corsa) i muscoli utilizzano la loro riserva di glicogeno.

Solo il glicogeno del fegato può essere scomposto in glucosio e liberato nel sangue, in modo da servire gli organi, principalmente il cervello.

L’OMS suggerisce che gli zuccheri semplici (come lo zucchero da tavola) non deve superare il 5% del fabbisogno calorico giornaliero il resto 40-55% deve essere di carboidrati complessi.

Alimenti che contengono carboidrati:

  • Zucchero da tavola,
  • Cereali e derivati,
  • Verdure amidacee,
  • Legumi

PROTEINE

Le proteine (dette anche protidi) sono sostanze organiche molto complesse e sono uno dei costituenti fondamentali di tutte le cellule del mondo animale e di quello vegetale. Chimicamente parlando sono dei polimeri (macromolecole costituite da numerosi gruppi molecolari) costituiti da amino acidi che sono uniti tra loro. Le proteine differiscono fra loro per il numero, la composizione e la sequenza degli aminoacidi che le costituiscono.

Struttura base di un aminoacido.

Gli aminoacidi ordinari sono 20 (in natura se ne conoscono oltre 500) di cui 8 essenziali (devono essere introdotti con il cibo):

fenilalanina, treonina, triptofano, metionina, lisina, leucina, isoleucina e valina

e 12 non essenziali (sono prodotti dall’organismo):

l’alanina, l’arginina, l’acido aspartico, la cisteina, l’acido glutammico, la glicina, la prolina, la serina, la tirosina, l’asparagina, l’istidina e la glutammina.

L’Arginina nell’organismo viene convertita in acido nitrico che favorisce la dilatazione dei vasi sanguigni favorendo la circolazione del sangue; stimola il rilascio dell’ormone della crescita e dell’insulina.  Si trova nei cereali, arachidi e frutta secca.

Una delle più importanti classificazioni delle proteine è quella che distingue fra proteine semplici e proteine coniugate.
Le proteine vengono dette semplici se sono costituite soltanto da aminoacidi, mentre si parla di proteine coniugate se a esse è legato un gruppo non proteico

Gli animali costruiscono le proteine necessarie all’organismo trasformando in aminoacidi le proteine assunte con l’alimentazione, per poi ricombinarli nelle proteine necessarie seguendo le informazioni fornite dal proprio DNA; nella sintesi proteica ogni grammo di proteine fornisce 4 calorie.

La capacità di accumulare scorte di proteine è molto limitata.

Valore biologico (VB)

Il valore biologico (VB) è l’indice più importante (e più utilizzato) per la valutazione della qualità delle proteine. Praticamente è un parametro di valutazione degli alimenti in base alla qualità delle proteine contenute in essi; dipende dalla composizione in amminoacidi di un alimento e dalla sua digeribilità.

Il valore biologico di una proteina dipende dalla sua composizione in amino acidi; infatti una proteina è utilizzata tanto meglio tanto più la sua composizione si avvicina a quella della proteina da sintetizzare da parte dell’organismo.

Il valore di riferimento è l’uovo il cui valore biologico è 100


Proteine dell’uovo – Hanno un valore biologico di 100, rallentano lo svuotamento gastrico, abbassando l’indice glicemico degli alimenti glicidici.

Proteine del latte – Hanno un VB superiore a 90 e un tempo di digeribilità medio.
Proteine della caseina – Hanno un VB inferiore a 80. Sono molto sazianti (la caseina tende ad assorbire acqua) e sono digerite piuttosto lentamente.
Proteine della carne – Hanno un Vb di circa 80

Proteine della soia – Hanno un VB inferiore a 75.
Proteine del grano – Hanno un VB inferiore a 55. Sia queste sia le precedenti non presentano uno spettro aminoacidico buono.

Le proteine della carne hanno una composizione amino acidica molto più vicina a quella del nostro corpo di quanto non abbiano le proteine vegetali e sono quindi da preferire.

Alimenti fonte di Proteine:

  • Carne,
  • Pesce,
  • Uova,
  • Latticini,
  • Legumi,
  • Frutta secca.

GRASSI

I grassi si dividono in due categorie: grassi saturi e grassi insaturi.

La differenza fra le due tipologie dipende da come sono composte le loro molecole; i grassi saturi sono chimicamente formati da legami singoli mentre quelli insaturi sono costituiti da un legame doppio fra gli atomi di carbonio.

Diverse ricerche confermano che sono i grassi saturi, derivati soprattutto dagli animali, a dare problemi al cuore perché tendono ad alzare il colesterolo LDL (detto colesterolo cattivo). Questo può essere causa delle principali malattie coronariche: 

  • Infarto miocardico.
  • Aterosclerosi.
  • Ictus. 

I grassi saturi hanno una caratteristica fondamentale: sono difficili da metabolizzare e tendono ad accumularsi nel sangue determinando un eccesso del colesterolo cattivo. Sono contenuti in particolare:

  • Burro, margarina, strutto, lardo, panna
  • Olio di palma, olio di cocco (tra i grassi vegetali, solo questi contengono un’elevata quantità di grassi saturi, tutti gli altri grassi vegetali sono insaturi)
  • Insaccati
  • Carni rosse
  • Formaggi e derivati del latte
  • Prodotti fritti industriali
  • Prodotti da forno industriali

Invece i grassi insaturi (si intendono gli acidi, che possono essere mono e polinsaturi, con uno o più doppi legami con gli atomi di carbonio) hanno con un contributo virtuoso nei confronti dell’organismo umano. 

Alimenti con grassi insaturi

  • Olivee olio di oliva (difficilmente ossidabile a temperatura ambiente quindi ben conservabili, proteggono le arterie da problemi cardiocircolatori)
  • Pesci ricchi di acidi grassi omega-3 (grasso polinsaturo di origine animale) come il salmone, lo sgombro, le acciughe, il tonno
  • Alimenti ricchi di omega-6 (grasso polinsaturo di origine vegetale) come mais e soia
  • Semi oleaginosi (sesamo,lino, chia, girasole, ecc.)
  • Frutta secca (noci, mandorle, nocciole, anacardi, noci del Brasile, pinoli, pistacchi, ecc.)
  • Tutti gli oli vegetali (di semi, di cereali, ecc.)

Alimenti che contengono grassi:

  • Carne,
  • Burro,
  • Oli vegetali,
  • Pesce,
  •  

I vari cibi che mangiamo non contengono generalmente solo un tipo di macronutriente ma in genere li contengono tutti e tre anche se in proporzioni diverse.

Un grammo di grasso introdotto con l’alimentazione produce circa 9 calorie.

MICRONUTRIENTI

Le VITAMINE

Le vitamine vengono classificate in due macrogruppi: quello delle vitamine idrosolubili e quello delle vitamine liposolubili. una simile suddivisione deriva dal loro diverso grado di solubilità nei grassi (vitamine liposolubili) e nell’acqua (vitamine idrosolubili).

Vitamine Liposolubili

Appartengono a questo gruppo:

  • La vitamina A o retinolo;
  • La vitamina D o calciferolo;
  • La vitamina E o tocoferolo;
  • La vitamina K.

 

Vitamine Idrosolubili

Appartengono, invece, a questo gruppo:

  • Le vitamine del gruppo B:
  • Vitamina B1 o tiamina;
  • Vitamina B2o riboflavina;
  • Vitamina B3 o PPe niacina;
  • Vitamina B5 o acido pantotenico;
  • Vitamina B6 o piridossina;
  • Vitamina B8 o H o biotina;
  • Vitamina B9 o acido folico;
  • Vitamina B12 o cobalamina.
  • La vitamina C o acido ascorbico.


Nell’organismo umano avvengono numerose reazioni metaboliche durante le quali si formano i radicali liberi, molecole instabili che contengono uno o più elettroni spaiati e sono responsabili dello stress ossidativo.

Oltre ai fattori endogeni esistono anche fattori esogeni, soprattutto ambientali, come stress, fumo, alcol e l’esposizione ai raggi ultravioletti che possono produrre radicali liberi.

Questi possono danneggiare le strutture cellulari come le membrane plasmatiche e il Dna,  quindi sono coinvolti nei processi di invecchiamento cellulare e nello sviluppo di diversi patologie come tumori, malattie cardiovascolari e malattie neurodegenerative.

Fra i micronutrienti ci sono alcuni prodotti con proprietà antiossidante.

 

Principali antiossidanti

Tipologia di antiossidante

Dove lo trovo?

CAROTENOIDI (vitamina A)

Frutta e verdura di colore giallo/arancio e nella verdura a foglia verde

VITAMINA C (Acido ascorbico)

Presente principalmente negli agrumi, ribes, kiwi, peperoni e pomodori, spinaci, cavoli ed asparagi

TOCOFEROLI (vitamina E)

Semi di arachidi e girasoli, mais e soia, frutta secca, uova

LICOPENE

Pomodori

ACIDO LIPOICO

Patate, broccoli e spinaci, carni rosse, fegato

SELENIO

Pesce, pollame, latte e cereali

MANGANESE

Tè, zenzero, zafferano, chiodi di garofano, cardamomo, cannella, germe di grano, pepe, piante ed erbe aromatiche

RAME

Fegato, molluschi, frutta secca, legumi, semi oleosi

ZINCO

Latte, frutti di mare, agnello, tacchino, legumi

Le vitamine vanno assunte con il cibo; è meglio non esagerare con gli integratori multivitaminici in quanto non è dimostrato che facciano bene alla salute (a meno che non siano prescritti da un medico) e in alcuni casi possono essere dannosi.

I semi oleosi contengono anche il triptofano che viene utilizzato dal corpo per produrre la Serotonina che è un neurotrasmettitore.

 

SALI MINERALI

I minerali sono sostanze richieste dall’organismo in piccole quantità per svolgere però numerose funzioni vitali. Tra queste, per esempio, la formazione delle ossa e dei denti, o prendere parte alla composizione dei fluidi corporei e dei tessuti, nonché alla funzione dei sistemi enzimatici e della funzione nervosa.

Alcuni minerali sono necessari in quantità maggiori rispetto ad altri, per esempio il calcio, il fosforo, il magnesio, il sodio, il potassio e il cloruro.

Altri in quantità minori e sono a volte chiamati minerali in traccia, ad esempio ferro, zinco, iodio, fluoro, selenio e rame. Nonostante siano richiesti in piccole quantità, i minerali in traccia non sono meno importanti degli altri minerali.

I minerali sono spesso assorbiti più efficacemente dal corpo se forniti attraverso gli alimenti e non attraverso gli integratori

ELEMENTO

FUNZIONE

CIBO CHE LO CONTIENE

CALCIO (Ca)

Forma il materiale rigido di ossa e denti. Regola la coagulazione del sangue e il funzionamento dei muscoli. Se manca le ossa si indeboliscono.

Latte e derivati, ortaggi verdi, legumi, cereali

FOSFORO (P)

 

Insieme al calcio contribuisce alla formazione del materiale rigido di ossa e denti. E’ importante per le trasformazioni energetiche che avvengono nelle cellule.

Latte, carne, pesce, uova, fegato, cereali, legumi.

POTASSIO (K)

È essenziale per l’equilibrio elettrolitico e il normale funzionamento delle cellule, compresi i neuroni. Un apporto dietetico elevato di potassio è stato associato a una diminuzione della pressione del sangue, in quanto favorisce la perdita di sodio nelle urine. Regola gli scambi tra le cellule e i liquidi corporei.

E’ presente in quasi tutti i cibi, soprattutto cereali, ortaggi, frutta (in particolare le banane) e carne.

MAGNESIO
(Mg)

E’ necessario per l’attivazione di molti enzimi (per esempio gli enzimi interessati alla replicazione del DNA e la sintesi di RNA) e per la secrezione dell’ormone paratiroideo, che è coinvolto nel metabolismo osseo. E’ anche necessario per i muscoli e il tessuto nervoso.

Cereali, legumi, mandorle, noci.

FERRO (Fe)

Il ferro favorisce la produzione di emoglobina e di globuli rossi: assicurando una corretta ossigenazione delle cellule del corpo. Stimola le funzioni del fegato, della milza, dell’intestino e del midollo osseo. Il ferro è inoltre fondamentale per i neurotrasmettitori come serotonina e dopamina, garantisce resistenza alle malattie, è utile contro lo stress ed è indispensabile per mantenere efficiente il sistema immunitario.

La mancanza di ferro (soprattutto in caso di emorragie, gravidanza e allattamento) provoca anemia, debolezza, esaurimento, confusione mentale, letargia, irritabilità, stipsi, mal di testa, unghie fragili e vulnerabilità alle infezioni.

Alimenti ricchi di ferro sono la carne rossa, il pesce, e le uova. Il ferro è contenuto in buona percentuale anche nei legumi,nella frutta secca, nelle verdure a foglie verdi larghe 

ZINCO (Zn))

La funzione principale di zinco nel metabolismo umano è come cofattore per numerosi enzimi. È ‘direttamente o indirettamente coinvolto nelle principali vie metaboliche ed è anche essenziale per la divisione cellulare e, di conseguenza, per la crescita e la riparazione dei tessuti e per lo sviluppo riproduttivo normale. Inoltre, lo zinco è necessario per il funzionamento del sistema immunitario e per la struttura e funzione della pelle, e quindi svolge un ruolo fondamentale nella guarigione delle ferite

Lo zinco è presente in molti alimenti ed è più facilmente assorbito dalla carne, E ‘presente anche nel settore del latte, formaggio, uova, crostacei, cereali integrali, noci e legumi. 

IODIO (I)

Regola l’attività della ghiandola tiroidea. Se manca si ha l’ingrossamento della ghiandola e il caratteristico gozzo.

Sale marino, pesce e molluschi marini, verdure, uova.

CLORO (Cl)

E’ importante per la formazione del succo gastrico.

E’ il costituente, insieme al sodio, del sale da cucina.

SODIO (Na)

Il sodio è responsabile della regolazione contenuto di acqua del corpo e l’equilibrio elettrolitico. Il controllo dei livelli di sodio nel sangue dipende da un equilibrio tra l’escrezione di sodio e il riassorbimento a livello dei reni, che è finemente regolata. Il sodio è necessario anche per l’assorbimento di alcuni nutrienti e l’acqua dall’intestino: Regola gli scambi tra cellule e liquidi corporei.

E’ il costituente, insieme al cloro, del sale da cucina.

SELENIO (Se)

La funzione principale di selenio è un componente di alcuni importanti enzimi antiossidanti (ad esempio perossidasi glutatione), e quindi di proteggere il corpo dal danno ossidativo. E ‘anche necessario per l’utilizzo di iodio nella produzione di ormoni tiroidei, in funzione del sistema immunitario e per la funzione riproduttiva.

Il selenio si trova nella frutta in guscio, pane, pesce, carne e uova. 

AMINOACIDI-CELLULE (2° lezione 09/02/2023)

AMINOACIDI

Gli amino acidi sono l’unità strutturale primaria delle proteine; si possono immaginare gli amino acidi come mattoncini che uniti da un collante formano una lunga sequenza che dà origine a una proteina.

I più importanti:

Arginina – L’arginina è un aminoacido condizionatamente essenziale (come la glicina, la glutammina, la prolina e la taurina), ricopre cioè un ruolo indispensabile per il mantenimento dell’omeostasi ovvero la condizione di stabilità interna dell’organismo.

L’arginina è contenuta in svariati alimenti. Dosi interessanti di tale aminoacido sono contenute per esempio nelle proteine isolate della soia, nella polvere di albume, nel merluzzo sotto sale, nelle noci secche, nelle arachidi, nella farina di soia, nella pancetta di maiale cotta, nelle mandorle secche, nelle nocciole secche, nelle lenticchie ecc.

Fenilalanina – La fenilalanina è un aminoacido essenziale contenuto nella stragrande maggioranza delle proteine di origine animale e vegetale.

Partecipa alla sintesi della tirosina in presenza delle vitamine B6 e C ed è importante per il normale funzionamento della tiroide. Poiché induce un senso di sazietà (favorendo la produzione di colecistochinina) è impiegata nei casi di sovrappeso. È utile come antidepressivo. Controindicata in caso di ipertensione e di fenilchetonuria (malattia congenita, chi nasce con questa malattia non è in grado di scomporre l’amino acido ”fenilalanina” di conseguenza questo si accumula nell’organismo in quantità tossiche e provoca danni cerebrali..

Metionina – La L-metionina (o, più semplicemente, metionina) è un aminoacido essenziale; è l’unico di questa tipologia di aminoacidi a contenere zolfo nella sua formula.

Le funzioni della metionina sono numerose; partecipa ai processi di sintesi di varie sostanze tra le quali si ricordano la carnitina, la cisteina, la cistina, la creatina, la taurina, la lecitina, la colina, la vitamina B12 ecc. La metionina è una sostanza dalle proprietà lipotropiche (facilita cioè la metabolizzazione dei lipidi).

La metionina è contenuta in diversi alimenti (albume, latte vaccino, formaggi, carne bovina, proteine isolate della soia ecc.).

Triptofano – Il triptofano è un aminoacido essenziale; deve quindi essere introdotto con la dieta.

Il triptofano è presente nella stragrande maggioranza delle sostanze proteiche; si trova in particolar nelle carni, nei formaggi, nel pesce e nel latte. È un elemento fondamentale nella sintesi di vitamina B6 (circa il 3% del triptofano alimentare viene destinato alla sintesi di questa vitamina) e serotonina. E’ un neurotrasmettitore.

Cisteina – La cisteina  è un aminoacido non essenziale, nell’organismo umano viene ottenuto dall’aminoacido essenziale metionina tramite una reazione attraverso la quale la metionina viene trasformata in omocisteina. Uno dei derivati della cisteina, la N-acetilcisteina viene utilizzata come principio attivo di diversi farmaci ad azione mucolitica.

La cisteina è contenuta in molti alimenti, in particolar modo nelle carni, nei prodotti lattiero-caseari, in alcuni tipi di cereali e nelle uova. È presente nella cheratina, una proteina largamente diffusa e che è il principale costituente di capelli, peli e unghie.

In campo medico la cisteina viene utilizzata per accelerare la cicatrizzazione di piaghe e ferite e come agente profilattico nelle patologie provocate da esposizioni a radiazioni; è anche utilizzata come agente chelante

CELLULE

Il nostro corpo è costituito da cellule che possono essere specializzate a seconda degli organi che le contengono.

Le cellule si dividono in due tipi:

  • Cellula procariota sprovvista di membrana nucleare per racchiudere il DNA e quindi non si osserva una vero e proprio nucleo. Rappresenta la prima forma di vita apparsa sulla terra e comprende il regno dei batteri.
  • Cellula eucariota ha un nucleo distinto con al suo interno gli organuli che svolgono compiti diversi contribuendo al funzionamento cellulare. Gli eucarioti comprendono il regno delle piante e degli animali

Struttura fondamentale della cellula:

  • MEMBRANA CELLULARE O PLASMATICA: involucro che racchiude e protegge il contenuto della cellula. La membrana controlla il passaggio di sostanze dall’interno della cellula al suo esterno e viceversa: infatti attraverso la membrana entrano le sostanze necessarie alla vita della cellula e vengono eliminate quelle di rifiuto. La membrana riceve e genera segnali per la comunicazione e la coordinazione tra cellule.
  • CITOPLASMA: è una sostanza gelatinosa dentro cui si trovano immersi il nucleo e molte altre piccole strutture dette organuli.
  • NUCLEO: di forma generalmente tonda è Il “centro di controllo” delle normali attività cellulari, al suo interno è contenuto il DNA in cui è immagazzinata l’informazione genetica che controlla tutte le attività della cellula; all’interno del nucleo è contenuto il DNA.

Il DNA spiralizzato e associato a proteine, forma i cromosomi che sono visibili al microscopio quando la cellula inizia a dividersi.

I cromosomi contegono le informazioni ereditarie. Grazie ai cromosomi noi somigliamo nell’aspetto fisico (per il colore degli occhi, dei capelli, statura….) ai nostri genitori che ci trasmettono i loro caratteri ereditari. Nell’uomo i cromosomi sono 46: 23 di origine materna e 23 di origine paterna (22 più una coppia di cromosomi sessuali).  

Il numero e la forma dei cromosomi è diverso per ogni specie animale o vegetale.

Ci sono inoltre numerosi organuli con diverse funzioni tra cui:

  • RIBOSOMI: fabbricano le proteine.
  • MITOCONDRI: forniscono energia (sono le centrali energetiche della cellula).
  • CENTRIOLI: I sono coinvolti nella divisione cellulare e sono presenti solo nelle cellule degli animali.

Nell’uomo sono presenti circa 60.000 miliardi di cellule.

Le cellule possono riprodursi per divisione della cellula iniziale (cellula genitore) in due o più cellule figlie partendo dalla duplicazione del DNA.

DNA

Il DNA: acido desossiribonucleico è un acido nucleico (contenuto nel nucleo della cellula) è una grande molecola composta da nucleotidi a cui è affidata la codificazione delle informazioni genetiche; costituisce la sostanza fondamentale del gene ed è responsabile della trasmissione dei caratteri ereditari.

Si può schematizzare come una struttura elicoidale formato da soli 4 elementi i cosiddetti NUCLEOTIDI.

I nucleotidi sono costituiti da “basi azotate” in quanto contengono atomi di Azoto assieme ad atomi di carbonio e a uno zucchero.

Come detto sono 4:

  • Adenina indicata con A
  • Guanina indicata con G
  • Timina indicata con T
  • Citosina indicata con C

Cambiando l’ordine delle basi azotate si possono scrivere messaggi diversi che porteranno alla formazione degli aminoacidi.

Es:

  • Arginina CGT/GCA
  • Isoleucina ATA/TAT
  • Valina GTG/CAC
  • Lisina AAG/TTC

Il filamento è composto da zucchero-fosfato

In ogni semigiro dell’elica sono presenti 4 elementi nucleotidi.

La molecola di DNA  porta le informazioni genetiche: tali informazioni sono scritte nella sequenza di basi azotate e qualunque sequenza di basi è possibile.

Il numero di coppie di basi appaiate è di circa 6 miliardi nei 46 cromosomi umani, la struttura del DNA può quindi contenere le istruzioni per l’infinita diversità degli esseri viventi.

Le eliche del DNA hanno la proprietà di duplicarsi molto velocemente. Al momento della duplicazione dei cromosomi, la molecola si apre lungo la linea mediana come una cerniera lampo e le basi appaiate si separano. A mano a mano che i due filamenti si separano, essi fungono da stampo: ciascuno dirige la sintesi di un nuovo filamento complementare che avviene grazie all’utilizzo dei nucleotidi già presenti nella cellula. Grazie a questo principio, ogni filamento forma una copia esatta di quello a cui era appaiato originariamente e vengono prodotte alla fine due copie identiche tra loro e uguali alla molecola iniziale.

Si definisce ciclo cellulare il tempo fra due divisioni cellulari successive.  Durante la divisione cellulare il DNA si spiralizza formando i cromosomi.

Per gli organismi unicellulari il ciclo cellulare coincide con il ciclo vitale.

DNA e Cromosomi

Il DNA di una Cellula è suddiviso ed impacchettato in strutture chiamate Cromosomi; le Cellule Umane possiedono 46 Cromosomi.
I Cromosomi non sono fatti puramente di DNA, ma anche di Molecole Proteiche (come gli Istoni) attorno alle quali è avvolta la doppia elica del DNA.
Il materiale risultante, che costituisce lunghissime fibre, è chiamato Cromatina, ossia un complesso molecolare, costituito da DNA e da vari tipi di proteine ad esso associate, che rappresenta la forma sotto cui il DNA è contenuto nel nucleo delle Cellule Eucarioti.

Quindi un Cromosoma è una struttura composta di Cromatina; l’insieme dei Cromosomi, o “corredo cromosomico”, di una cellula corrisponde a quasi tutto il DNA in essa presente.

La Duplicazione di una Molecola di DNA corrisponde alla Duplicazione del Cromosoma di cui quella molecola fa parte.

A ciascuna delle due nuove doppie eliche di DNA prodotte per duplicazione della molecola di partenza vengono associate nuove proteine; il risultato di questo processo è un Cromosoma formato da due copie uguali (contenenti identici geni), chiamate Cromatidi. Quindi un Cromatidio è uno dei due Filamenti identici di Cromatina che compongono un Cromosoma duplicato; ciascuno di essi contiene una delle due Molecole di DNA formatesi dalla duplicazione del DNA del Cromosoma originario.

I Cromosomi assumono una forma ben definita solo quando sono già duplicati, e quindi composti da due Cromatidi uniti per il Centromero.

I nostri 46 cromosomi sono 23 coppie di Cromosomi che corrispondono l’uno all’altro (con un’eccezione, riguardante la coppia dei cromosomi sessuali maschili), quindi ciascuno di noi possiede 23 coppie di Cromosomi Omologhi, Cromosomi che contengono i Geni che controllano le stesse caratteristiche ereditarie.
Negli esseri umani, l’unica eccezione alla regola per cui due cromosomi omologhi hanno la stessa forma e la stessa funzione è, come già detto, il Cromosoma Sessuale Maschile; infatti una femmina ha le 23 paia di Cromosomi Omologhi, 22 delle quali sono costituite da Autosomi, cioè da Cromosomi non sessuali, mentre una è formata da due Cromosomi X, la cui presenza in un embrione umano significa che, sviluppandosi, esso darà origine ad una femmina, mentre i maschi possiedono 22 coppie di Autosomi, ma la coppia restante è formata da un Cromosoma X e da un Cromosoma Y, che ha forma diversa da quella del cromosoma X e, a differenza di questo, contiene un gene che conferisce all’embrione il sesso maschile.

Un Cariotipo è l’intero Corredo Cromosomico che appartiene ad un essere umano.

La mutazioni che possono avvenire sono principalmente due:

  1. MODIFICAZIONE DEL NUMERO DI CROMOSOMI;
  2. MODIFICAZIONE DELLA STRUTTURA DEI CROMOSOMI O ABERRAZIONI (rottura e riarrangiamento)

Queste mutazione possono produrre notevoli problemi in fase di procreazione.

VIRUS BATTERIOFAGI – FAGI

Si tratta di virus che aggrediscono i batteri e che per questo sono detti batteriofagi (letteralmente «mangiatori di batteri»).

I batteriofagi, chiamati anche fagi, sono poco costosi, possono essere facilmente tenuti in laboratorio, richiedono poco spazio e modeste attrezzature; inoltre, si riproducono in tempi brevissimi: dopo solo 25 minuti dall’attacco del virus, la cellula batterica si disgrega liberando centinaia di nuovi virus, ciascuno dei quali è una copia esatta del batteriofago infettante.

I fari sono attualmente utilizzati nel caso di infezioni batteriche che non rispondono alla terapia con antibiotici.

L’utilizzo di questa metodica per la cura di infezioni batteriche è molto utilizzata nei paesi dell’est in quanto economica e che non richiede ingenti capitali per la sperimentazione.

In occidente le industrie farmaceutiche hanno sponsorizzato gli antibiotici soprattutto per motivi di ritorno economico.

Attualmente si comincia ad utilizzare anche in occidente per i casi di infezioni con batteri resistenti agli antibiotici.

Rispetto agli antibiotici si hanno 2 vantaggi:

  • Ogni tipo di fago attacca un solo tipo di batterio e non una moltitudine come gli antibiotici (quindi anche batteri buoni)
  • L’uso eccessivo di antibiotici porta allo sviluppo di batteri antibiotico resistenti (MDR) che non rispondono più all’utilizzo degli antibiotici e possono causare danni molto gravi.

Un fago può attaccare un solo tipo di batterio; si può usare la terapia polifagia usando un cocktail di fagi per aggredire le infezioni.

I fagi attaccano solo i batteri e sono innocui per le persone, inoltre non hanno effetti collaterali come invece producono gli antibiotici.

Per utilizzare questa terapia bisogna innanzitutto isolare il batterio causa di infezione e poi allestire una preparazione che contiene i fagi più attivi nei confronti del batterio da eliminare

Il fago si attacca al batterio da combattere e utilizza la coda per pungere la membrana del batterio; scaccia il materiale genetico del batterio e inocula il suo.

All’interno del batterio si riproducono tanti fari finché (nel giro di una ventina di minuti) si rompe la membrana del batterio che quindi muore ed esce una miriade di nuovi fagi che passano ad aggredire gli altri batteri.

SINTESI DELLE PROTEINE - ALZHEIMER (3° lezione 16/02/2023)

Le proteine sono probabilmente la classe più importante di materiale contenuto nell’organismo.

Questi componenti non sono soltanto i blocchi di costruzione dei muscoli, dei tessuti connettivi, della pelle e di altre strutture, ma sono anche necessari per la produzione di enzimi.

Gli enzimi sono proteine complesse deputate al controllo e allo svolgimento di quasi tutte le reazioni e di tutti i processi chimici che hanno luogo all’interno dell’organismo.

Il corpo produce migliaia di enzimi diversi.     Pertanto, l’intera struttura e funzione dell’organismo è governata dai tipi e dalle quantità di proteine che esso sintetizza. La sintesi proteica è controllata dai geni, che sono contenuti nei cromosomi.

Gli esseri umani hanno tra 20.000 e 23.000 geni

I geni sono costituiti da acido desossiribonucleico (DNA).

Il DNA contiene il codice, o mappa, utilizzato per sintetizzare una proteina.     Le dimensioni dei geni variano in base alle dimensioni della proteina che devono codificare.      Ogni molecola di DNA è composta da una lunga doppia elica che ricorda la forma di una scala a chiocciola contenente milioni di gradini. I gradini della scala sono formati da coppie di quattro tipi differenti di molecole, dette basi (nucleotidi).     In ciascun gradino, la base adenina (A) è accoppiata con la base timina (T) o la base guanina (G) con la base citosina (C). Ogni molecola di DNA, estremamente lunga, si raccoglie a spirale all’interno di uno dei cromosomi.

Fatta eccezione per alcune cellule (per esempio, sperma e ovociti e globuli rossi), il nucleo cellulare contiene 23 coppie di cromosomi.

I globuli rossi hanno la funzione principale di trasportare l’ossigeno dai polmoni verso i tessuti e di trasportare parte dell’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni che provvedono all’espulsione del gas all’esterno del corpo.   Nei mammiferi i globuli rossi sono privi di nucleo (e quindi del DNA) questo impedisce loro di riprodursi per cui la loro produzione è totalmente affidata al midollo osseo.

Un cromosoma contiene molti geni. Il gene è un segmento di DNA che fornisce il codice per costruire una proteina. 

Le cellule, per la loro sopravvivenza e per la loro riproduzione, devono continuamente produrre proteine: sono infatti proteine gli enzimi che consentono le numerosissime reazioni chimiche che avvengono all’interno della cellula; così come sono proteine molte strutture della cellula.

La sintesi delle proteine è un processo che avviene nei ribosomi.      In natura ogni individuo ha delle caratteristiche differenti dall’altro (come, ad esempio, il colore degli occhi o dei capelli) che dipendono dalle proteine.     Le proteine sono costruite dal DNA che in un certo senso potremmo paragonare al direttore di un progetto.

Durante la sintesi proteica vi è la necessità di trasportare le informazioni contenute nel DNA e perciò, poiché il DNA non può uscire dal nucleo, vi è la necessità di un intermediario: l’RNA messaggero, che si viene a formare dalla scissione delle due catene di DNA ed ha l’uracile al posto della timina.

SINTESI DELLE PROTEINE

SINTESI DELLE PROTEINE

Le informazioni sono codificate all’interno del DNA in base alla sequenza in cui sono organizzate le basi (A, T, G e C). Il codice è scritto in triplette, ovvero le basi sono organizzate in gruppi di tre.

Sequenze particolari di tre basi nel DNA codificano per istruzioni speciali, come l’aggiunta di un amminoacido a una catena.

Ad esempio, GCT (guanina, citosina, timina) codifica per l’aggiunta dell’amminoacido alanina, mentre GTT (guanina, timina, timina) codifica per l’aggiunta dell’amminoacido valina.

Pertanto, la sequenza di amminoacidi in una proteina è determinata dall’ordine delle coppie di base in tripletta nel gene per quella proteina, sulla molecola di DNA.

Il  processo di trasformazione dell’informazione genetica codificata in una proteina prevede una fase di trascrizione e sintesi.

La trascrizione è il processo attraverso il quale le informazioni codificate nel DNA vengono trasferite (trascritte) all’acido ribonucleico (RNA).

L’RNA è una lunga catena di basi identica al filamento di DNA, salvo per la presenza della base uracile (U) che sostituisce la base timina (T).     L’RNA contiene, pertanto, un’informazione codificata in tripletta, esattamente come il DNA.

All’avvio del processo di trascrizione, parte della doppia elica di DNA si apre, svolgendosi. Uno dei filamenti svolti di DNA funge da modello rispetto al quale si forma un filamento complementare di RNA.     Il filamento complementare di RNA è detto RNA messaggero (mRNA). L’mRNA si separa dal DNA, abbandona il nucleo e giunge nel citoplasma cellulare (la parte della cellula esterna al nucleo). Qui, l’mRNA si lega a un ribosoma, che è una piccola struttura nella cellula in cui avviene la sintesi proteica.

I ribosomi sono in grado di leggere il messaggio trasmesso, sono cioè̀ in grado di capire (decodificare) il codice genetico.

Nella fase di traduzione, il codice mRNA (dal DNA) comunica al ribosoma l’ordine e il tipo di amminoacidi da legare. Gli amminoacidi vengono trasportati verso il ribosoma da un tipo molto più piccolo di RNA, detto RNA di trasporto (tRNA). Ciascuna molecola di tRNA trasporta un solo amminoacido che deve essere inglobato nella catena in formazione della proteina, che è ripiegata in una struttura tridimensionale complessa sotto l’influenza delle molecole adiacenti “accompagnatrici”.

Quando l’aminoacido legato ad un tRNA si lega all’aminoacido successivo (legato ad un altro tRNA, che nel frattempo si è fissato alla tripletta successiva dell’mRNA), il primo tRNA si stacca dal suo aminoacido e dall’mRNA, mentre altri tRNA arrivano trasportando gli aminoacidi successivi, che si legano nella sequenza indicata dall’mRNA e quindi dal DNA di cui l’mRNA è una copia.

Quando è stato legato l’ultimo amino acido la catena formata si avvolge in 3D ed è stata costruita la proteina.

MUTAZIONI GENETICHE

Una mutazione genica è un cambiamento permanente nella sequenza di basi del DNA. La conseguenza di una mutazione sull’attività̀ proteica può̀ variare da nessun effetto rilevabile fino alla completa inattività̀.

In generale, vi sono due tipi di mutazioni: quelle che riguardano le cellule della linea germinale e quelle che riguardano le cellule somatiche.

Dal punto di vista dell’estensione, le mutazioni possono essere puntiformi oppure di sfasamento.

Le mutazioni germinali avvengono nelle cellule sessuali e perciò̀ possono essere trasmesse alla generazione successiva attraverso la riproduzione. Le mutazioni somatiche, invece, avvengono nelle cellule del corpo e possono interessare soltanto alcune di esse in un tessuto (per esempio causando tumori), ma, a differenza di quelle germinali, non vengono trasmesse alla progenie.

Mutazioni puntiformi e mutazioni di sfasamento.

Le mutazioni puntiformi implicano un cambiamento in un singolo nucleotide di DNA. Il cambiamento di una sola base può̀ avere un effetto nullo oppure un effetto drastico (sotto forma di una proteina difettosa), a seconda della base nucleotidica del DNA interessata dalla mutazione. Anche l’anemia falciforme è dovuta a un singolo cambiamento di base del DNA: la sostituzione dell’amminoacido glutammato dell’emoglobina normale con l’amminoacido valina dell’emoglobina difettosa induce infatti l’emoglobina ad assumere l’aspetto di un bastoncino rigido, provocando l’alterazione dei globuli rossi, che diventano falciformi.

Le mutazioni di sfasamento avvengono soprattutto per inserzione o delezione (eliminazione) di uno o più̀ nucleotidi nel DNA. Il risultato di una mutazione di sfasamento può̀ essere una nuova sequenza che dà origine a una nuova proteina non funzionale. Questo accade perché́ la sequenza viene letta in modo continuo a partire da un punto di inizio preciso, come nella frase che segue: AMO LEI PIÙ CHE MAI. Se la lettera L viene eliminata, tutto l’ordine di lettura risulta sfasato, e leggeremo AMO EIP IUC HEM AI, cioè̀ una frase che non ha più̀ un senso. Per esempio, la fibrosi cistica è dovuta a una mutazione di sfasamento che interessa la codifica di una proteina canale per il cloro nella membrana plasmatica.

Effetto delle mutazioni sulle proteine. Una proteina non funzionante a causa anche di una singola mutazione può̀ avere effetti drammatici nell’organismo. Per esempio, una rara condizione chiamata sindrome da insensibilità̀ agli androgeni è dovuta a un recettore difettoso per gli ormoni sessuali maschili, cosicché́ le cellule non possono rispondere ai loro segnali e l’individuo, pur essendo geneticamente XY, mostra caratteristiche sessuali femminili. Altre mutazioni possono riguardare le vie metaboliche cellulari, come nel seguente esempio:

Se viene ereditato un codice difettoso per l’enzima EA, l’organismo diviene incapace di convertire la molecola A nella molecola B, cosicché́ la fenilalanina si accumula nelle cellule provocando i sintomi della fenilchetonuria, un gravissimo disordine genetico. Se, nella stessa via metabolica, una persona eredita il codice errato per l’enzima EB, sarà̀ la molecola B non convertibile nella molecola C, e la persona risulterà̀ affetta da albinismo.

MORBO DI ALZHEIMER

La malattia di Alzheimer provoca il decadimento della funzione mentale; la causa è data dalla degenerazione del tessuto cerebrale nel quale vengono progressivamente perse cellule nervose con accumulo di una proteina detta beta-amiloide.

  • Un segno precoce è dimenticare eventi recenti, seguito da un aumento di confusione, alterazione delle altre funzioni mentali, problemi a usare e a capire il linguaggio e a svolgere le attività quotidiane.
  • Progrediscono in modo tale che le persone non riescono più a svolgere le attività e diventano completamente dipendenti dagli altri.
  • Il medico basa la diagnosi sui sintomi e sui riscontri dell’esame obiettivo, sugli esami dello stato mentale, su quelli del sangue e sulla diagnostica per immagini.
  • Il trattamento implica strategie per prolungare le capacità funzionali il più possibile e può includere farmaci che possono rallentare la progressione della malattia.
  • Non è possibile prevedere quanto vivrà la persona, ma il decesso avviene in media circa 7 anni dopo la diagnosi.

La malattia di Alzheimer è un tipo di demenza, un lento e progressivo declino della funzione mentale che include memoria, pensiero, giudizio e capacità di apprendimento.

Nel 60-80% delle persone anziane che soffrono di demenza, la causa è la malattia di Alzheimer. È molto rara prima dei 65 anni. Diventa più frequente con l’avanzare dell’età. Negli Stati Uniti, si stima che il 10% delle persone di età pari o superiore a 65 anni abbia la malattia di Alzheimer. La percentuale di persone con malattia di Alzheimer aumenta con l’aumentare dell’età:

  • Età compresa tra 65 e 74 anni: 3%
  • Età compresa tra 75 e 84 anni: 17%
  • Età pari o superiore a 85 anni: 32%

La malattia di Alzheimer colpisce più donne che uomini, in parte perché le donne vivono più a lungo. Si prevede che il numero di persone affette dalla malattia di Alzheimer aumenti in modo considerevole man mano che aumenta la percentuale di persone anziane.

Le cause della malattia di Alzheimer non sono note, ma il fattore genetico svolge un ruolo importante: circa il 5-15% dei casi ha carattere ereditario.

Possono essere implicate diverse anomalie genetiche specifiche.       Alcune di queste possono essere ereditate quando un solo genitore possiede il gene anomalo.       Vale a dire il gene anomalo è dominante.        Un genitore colpito ha il 50% delle probabilità di trasmettere il gene anomalo a ogni figlio.        Circa la metà di questi figli sviluppa la malattia di Alzheimer prima dei 65 anni.

I fattori di rischio, come:

  • pressione arteriosa elevata,
  • diabete,
  • alti livelli di colesterolo
  • fumo,

possono aumentare il rischio di malattia di Alzheimer. Il trattamento di questi fattori di rischio già verso la mezza età può ridurre il rischio di declino mentale in età avanzata.

Purtroppo, quando compaiono i primi sintomi, la malattia è già in stato avanzato e attualmente non esistono cure per fermare o ritardare la progressione della malattia.

L’unica cosa è mettere in atto delle azioni preventive:

Alcune ricerche suggeriscono certe misure che possono aiutare a prevenire la malattia di Alzheimer:

  • Controllare i livelli di colesterolo:alcune prove suggeriscono che alti livelli di colesterolo possono essere collegati allo sviluppo della malattia di Alzheimer.
  • Controllare la pressione alta:l’ipertensione arteriosa può danneggiare i vasi sanguigni che trasportano il sangue al cervello e quindi ridurre l’afflusso di ossigeno al cervello, interrompendo possibilmente le connessioni fra le cellule nervose.
  • Attività fisica:l’attività fisica aiuta la funzione cardiaca e, per motivi non noti, può contribuire a migliorare la funzione cerebrale.
  • Tenersi mentalmente attivi:le persone vengono incoraggiate a continuare le attività che fanno lavorare la mente, come imparare nuove abilità, fare i cruciverba e leggere il giornale. Queste attività possono favorire la crescita di nuove connessioni (sinapsi) fra le cellule nervose e quindi ritardare la demenza.
  •  

Trattamento dell’Alzheimer.

Ne morbo di Alzheimer si formano delle placche cerebrali diffuse di una proteina chiamata Beta-Amiloide inoltre risulta elevato, nei pazienti con Alzheimer la concentrazione di una proteina chiamata p-Tau.

Aducanumab è un nuovo farmaco di recente approvato per trattare la malattia di Alzheimer. Viene iniettato per via sottocutanea una volta al mese. Aducanumab è un anticorpo monoclonale progettato per attaccare la beta-amiloide (una proteina anomala) che si accumula nel cervello dei soggetti con malattia di Alzheimer. Gli studi hanno dimostrato che Aducanumab può ridurre il numero di placche di beta-amiloide nel cervello. Pertanto, alcuni esperti prevedono che Aducanumab potrebbe in futuro dimostrare di rallentare la progressione della malattia di Alzheimer.  Però Aducanumab ha effetti collaterali. Può provocare gonfiore e sanguinamento cerebrale,

 C’è un nuovo medicinale approvato il 23 gennaio 2023 che si chiama Lecanumab che però produce notevoli complicazioni per cui i medici sono cauti nel suo utilizzo.

CICLO CELLULARE - MORBO DI PARKINSON (4° lezione 23/02/2023)

IL CICLO CELLULARE

Con “ciclo cellulare” si indica quell’insieme di fasi cellulari ossia eventi ordinati ed altamente controllati che porta alla divisione e corretta proliferazione delle cellule eucariotiche, con la sola eccezione delle cellule perenni, quali i neuroni e le cellule muscolari, che in condizioni normali non si moltiplicano mai.

Il ciclo cellulare può essere suddiviso in tre fasi differenti (interfasemitosi o meiosi citodieresi), durante le quali la cellula cresce di dimensioni modificando in modo appropriato i propri organuli ed il proprio genoma, monitora l’integrità del genoma, replica il DNA, si riproduce e separa fisicamente in due parti il citoplasma (Fig. 1).

La durata del ciclo cellulare è differente a seconda della specie, del tipo di cellula e delle condizioni di crescita

Interfase

L’interfase è quel periodo che separa una mitosi dall’altra. Si suddivide a sua volta in:

  • fase G1del ciclo cellulare, dall’inglese gap ovvero “intervallo”. Essa è caratterizzata da eventi genomici precoci che condizionano le cellule ad entrare in fase di divisione o, al contrario, ad arrestarsi ed andare incontro a morte cellulare programmata (apoptosi), e da eventi genomici tardivi che preparano le cellule a terminare il percorso durante questa fase e ad entrare nella successiva fase S, la fase di replicazione del DNA. In questa fase infatti avviene la trascrizione del DNA in RNA messaggero per la sintesi delle proteine.

La durata della fase G1 varia a seconda del citotipo, e condiziona anche la durata dell’intero ciclo cellulare. Le altre fasi, infatti, hanno una durata pressoché simile in tutte le cellule. Nelle cellule che si riproducono frequentemente come le cellule labili (es. cellule epiteliali), la fase G1 ha la durata media di 15-20 ore, mentre in quelle che si riproducono occasionalmente, cioè le cellule stabili (es. gli epatociti) ha una durata molto più lunga.

  • fase S(sintesi) che ha la durata media di 6-8 ore ed è una fase di preparazione alla divisione cellulare. E’ infatti indispensabile per far sì che il corredo cromosomico venga ugualmente distribuito tra le due cellule figlie. In questa fase la cellula replica il suo DNA sotto il controllo di enzimi sintetizzati nella fase G1. Il numero di cromosomi raddoppia e la cellula passa dall’avere un assetto diploide all’avere un assetto tetraploide.
  • fase G2del ciclo cellulare: in questo periodo, successivo alla fase di sintesi, vengono sintetizzate gran parte delle strutture microtubulari che formano l’apparato mitotico, e molte componenti di membrana funzionali per la divisione della cellula in due cellule figlie identiche.

Fase G0

In alcuni casi il ciclo cellulare si arresta nella fase G1, senza che ci sia la duplicazione del materiale genetico. E’ il caso delle cellule che ricevono uno stimolo anti-proliferativo ed entrano in questo stato prolungato di non divisione chiamata fase G0. In caso di stimoli specifici provenienti dall’esterno, queste possono rientrare nel ciclo cellulare e ricominciare a dividersi, ad esempio per sostituire cellule perdute per morte cellulare accidentale o a causa di una lesione del tessuto. In altri casi, possono arrestarsi in G0 e svolgere una funziona specifica irreversibilmente. E’ il caso ad esempio dei neuroni e delle cellule muscolari, che fanno parte dei tessuti perenni.

Allo stesso modo, molte cellule, dopo una serie di cicli vitali, cessano di riprodursi ed entrano in una fase di quiescenza (simile alla fase G0) che le porterà a senescenza e morte cellulare.

Mitosi e meiosi

La mitosi è la divisione della cellula somatica in due cellule figlie con patrimonio genetico identico alla cellula madre. Essa consta di cinque fasi: profase, prometafase, metafase, anafase, telofase. E’ una fase piuttosto breve e permette di ottenere da una cellula diploide un’altra cellula diploide, grazie alla precedente duplicazione del DNA in fase S .

Nella cellula germinale, invece, dalla cellula diploide si ottengono quattro cellule aploidi, con un corredo genetico dimezzato rispetto alla cellula madre. Per questo motivo la riproduzione cellulare avviene attraverso la meiosi processo in cui si hanno due divisioni cellulari: la prima è detta riduzionale, mentre la seconda equazionale.

Nella prima divisione meiotica, da una cellula diploide si generano due cellule aploidi, ma ancora formate da cromosomi costituiti da due cromatidi (in questa fase si separano i cromosomi omologhi). Nella seconda fase invece, si dividono i cromatidi fratelli.

 

Le quattro cellule finali hanno un patrimonio genico diverso fra loro. Questo accade per la diversa combinazione di cromosomi di provenienza materna e paterna e per il meccanismo del crossing-over in cui si ha lo scambio diretto di materiale genico fra cromosomi omologhi. Questi due meccanismi garantiscono la variabilità genetica alla base dell’evoluzione degli eucarioti.

Citodieresi

La citodieresi o citocinesi, è il processo nel quale si suddivide il citoplasma, con la formazione di un solco di membrana. La citodieresi segue la telofase della mitosi e, in genere, porta alla formazione di cellule figlie uguali.

Checkpoint del ciclo cellulare

Nelle fasi G1, G2 ed M si trovano interposti i cosiddetti punti di restrizione, o checkpoint. In corrispondenza di essi, in determinate circostanze, si può verificare un arresto del ciclo cellulare. Il passaggio da una fase all’altra del ciclo non è un evento automatico, ma anzi in questi checkpoint ci sono continue verifiche affinché non ci siano errori. Se ogni fase del ciclo non è completata correttamente, il ciclo si arresta.
Questo può avvenire se vi sono stati danni a carico del genoma, o se non sono stati sintetizzati tutti i fattori necessari per la transizione nella fase successiva. In presenza poi di un danno grave al DNA non riparabile, le cellule possono essere indirizzate verso l’apoptosi.

Il primo checkpoint (R1) controlla l’ingresso nella fase S (transizione G1 → S). Qui la cellula si assicura che il DNA sia integro, che vi siano gli elementi nutritivi necessari per la crescita cellulare e che nell’ambiente extracellulare vi siano i fattori di crescita idonei. Se vi sono stati danni al DNA, la cellula procede con la riparazione fino a nuovo stimolo (fase G0 o quiescenza cellulare).

Il checkpoint R2 controlla l’ingresso nella fase M (transizione G2 → M). Se c’è stata un’errata formazione dei cromatidi o se sono riscontrati ancora danni al DNA, la cellula non precede alla mitosi.

Infine, il checkpoint R3, che controlla il completamento della fase M (metafase → citodieresi) opera affinché sia controllata la progressione della mitosi, in particolar modo l’interazione tra le fibre del fuso mitotico ed i diversi cromosomi ed il loro corretto allineamento nella zona equatoriale della cellula.

MORBO DI PARKINSON

Il morbo di Parkinson è legato alla degenerazione cronica e progressiva che interessa soprattutto alcune strutture del sistema nervoso centrale, in particolare quelle in cui viene prodotto un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei movimenti corporei: in altre parole diminuisce la quantità disponibile nell’organismo di una sostanza legata al controllo del movimento, la dopamina.

La dopamina è un ormone endogeno prodotto a livello encefalico; essa agisce come neurotrasmettitore permettendo il passaggio di un impulso elettrico/nervoso da una cellula trasmittente a una ricevente.

La dopamina è chiamata anche Ormone del Benessere in quanto interviene sui meccanismi di controllo del piacere, della compensazione e della ricompensa.  L’azione sull’umore della dopamina si realizza in modo sinergico con un altro ormone la Serotonina.

Il morbo colpisce più gli uomini delle donne, ma le ragioni di questa discrepanza non sono chiare; sebbene venga riscontrato in  persone di ogni parte nel mondo, numerosi studi hanno riscontrato una più alta incidenza nei Paesi sviluppati. Altri studi hanno rilevato un aumentato rischio nelle persone che vivono nelle zone rurali ed in quelle che svolgono alcune specifiche professioni, anche se gli studi fino a oggi non sono conclusivi e le cause alla base dei fattori di rischio non sono chiare.

Sicuramente può comparire in seguito a

  • traumi alla testa(è molto diffuso tra ex pugili),
  • esposizione a sostanze tossiche nell’ambiente
  • ed aterosclerosi

Una causa certa di aumento della frequenza di comparsa del morbo di Parkinson è la vecchiaia: l’età media dei sintomi iniziali è di 60 anni e l’incidenza sale significativamente con il passare degli anni. Circa il 5-10% delle persone con il morbo di Parkinson presentano i primi sintomi della malattia prima dei 50 anni, ma si tratta generalmente di forme ereditarie e, benché non sempre, collegabili a specifiche mutazioni geniche.

Le persone con uno o più parenti stretti con diagnosi di Parkinson hanno un aumentato rischio di contrarre anch’essi la malattia, ma il rischio totale è soltanto dal 2 al 5% esclusi i casi con una nota mutazione genetica per la malattia. Si stima che dal 15 al 25% di malati abbia un parente stretto con la stessa malattia.

E’ una malattia cronica e progressiva (peggiora nel tempo).

I sintomi sono:

  1. tremorenelle mani, nelle braccia, nelle gambe, alla mascella, o alla testa,
  2. rigidità degli arti e al tronco,
  3. lentezza nei movimenti,
  4. instabilità di posizione o equilibrio indebolito.

Progressivamente si giunge alla demenza e quindi alla morte.

Il calo della produzione della dopamina non può essere contrastato immettendola direttamente dall’esterno in quanto la dimensione della dopamina è troppo grossa e non riesce a passare la barriera encefalica.  Una medicina utilizzata è L-DOPA, un precursore della dopamina, che riesce ad entrare nel sistema nervoso centrale e qui viene metabolizzata in dopamina.

SEROTONINA

La serotonina – nota anche come “ormone del buonumore” è un neurotrasmettitore sintetizzato nel cervello e in altri tessuti a partire dall’amminoacido essenziale triptofano.

Come precursore della melatonina, la serotonina regola i ritmi circadiani, sincronizzando il ciclo sonno-veglia con le fluttuazioni endocrine quotidiane.

La serotonina interviene nel controllo dell’appetito determinando una precoce comparsa del senso di sazietà e una riduzione, in genere, della quantità di cibo ingerita.

Non a caso, molte persone che lamentano un calo dell’umore avvertono un bisogno importante di dolci (ricchi di carboidrati semplici) e cioccolato (contiene e favorisce la produzione di serotonina, perché ricco di zuccheri semplici, oltre che di sostanze psicoattive).

La serotonina regola la motilità e le secrezioni intestinali, dov’è cospicua la presenza di cellule enterocromaffini contenenti serotonina; determina diarrea se presente in eccesso e stitichezza se presente in difetto.

INSULINA

L’Insulina è un ormone di natura proteica prodotta nel pancreas.

Promuove il passaggio degli zuccheri dal sangue ai tessuti, che li utilizzano come fonte di energia. Inoltre, blocca il rilascio di zuccheri da parte del fegato.

L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas ed è il principale responsabile della regolazione del glucosio nel sangue e, quindi, della glicemia.

In alcune condizioni, le cellule dei tessuti coinvolti possono diventare meno sensibili all’insulina e sviluppano un meccanismo chiamato insulino-resistenza. 

In questi casi, allora, il pancreas produce più insulina del necessario per compensare la sensibilità ridotta.

Ecco che si sviluppa così la condizione di iperinsulinemia (di cui sovrappeso e obesità possono essere una delle cause).

In fase iniziale, l’iperinsulinemia risulta asintomatica. L’organismo infatti compensa autonomamente alla condizione di resistenza all’insulina producendo più ormoni.

Quando il meccanismo di compensazione non è più sufficiente, si verifica una condizione di ipoglicemia. In altre parole, si va in carenza di glucosio nel sangue perché l’eccessiva insulina lo trasporta tutto ai tessuti. 

Il cervello sfrutta il glucosio nel sangue per volgere la maggior parte delle sue funzioni più importanti e la carenza può portare a svenimenti, vista annebbiata, convulsioni, confusione e, nei casi più gravi, anche alla morte.

ERBE CURATIVE

Le erbe rappresentano dall’antichità un rimedio naturale contro i malanni che ci affliggono.

Attualmente però molte persone assumono con regolarità farmaci per contrastare determinate patologie (ipertensione, diabete, depressione, ansia,…) bisogna stare molto attenti quando si assumono certi tipi di erbe.

IPERICO

Noto anche come erba di San Giovanni in quanto la pianta fiorisce in corrispondenza della festività del santo (24 giugno).

Tradizionalmente i preparati a base di iperico sono stati utilizzati per il trattamento di diversi disturbi, tra cui inquietudine nervosa, ma soprattutto come rimedio per disturbi depressivi minori.

L’iperico è noto per essere responsabile di importanti interazioni farmacologiche.Può potenziare l’azione dei farmaci antidepressivi SSRI, determinando l’insorgenza della sindrome serotoninergica, una patologia caratterizzata da variazione dello stato mentaletremoriinstabilità, e irrequietezza, e, nei casi più gravi, anche la morte.

Non bisogna quindi assumere iperico quando si prendono:

  • antidepressivi,
  • anticoncezionali,
  • anticoagulanti

BIANCOSPINO

E’ un arbusto comune, dalle dimensioni contenute, che cresce spontaneamente nelle zone temperate dell’emisfero nord (Europa, Asia, America).

Il biancospino è una fonte di antiossidanti, di steroli e di altri composti interessanti per la salute.

Dai fiori e dalle foglie essiccati si ricavano flavonoidi che sono potenti antiossidanti e “spazzini” dei radicali liberi, utili nella prevenzione di malattie cardiovascolari e infiammatorie.

Ha funzioni cardioprotettiva, sedativa e antiradicalica, e possono essere assunti al bisogno dai pazienti che soffrono di condizioni patologiche del cuore o del sistema cardiocircolatorio.

uttavia, il biancospino deve essere usato con prudenza se la frequenza cardiaca è inferiore a 60 battiti al minuto(bradicardia) e nei disturbi della conduzione dello stimolo elettrico nel cuore.

Non va usato durante la gravidanza e l’allattamento e non deve essere somministrato ai bambini senza aver prima consultato il pediatra.

SENNA

Le piante identificabili con il nome comune di “senna” sono originarie nelle regioni tropicali e subtropicali di tutti i continenti.

La senna rappresenta uno dei rimedi naturali ad azione lassativa più utilizzati al mondo.

In seguito ad abuso od utilizzo cronico di lassativi antrachinonici si incorre in importanti effetti collaterali, quali la pigmentazione della mucosa del colon, l’alterazione del quadro idroelettrolitico, un importante aggravamento della stitichezza, colon irritabile, ed un aumentato rischio di degenerazione neoplastica.

La senna e i prodotti che la contengono possono interferire con:

  • Principi attivi cardiotonici (come, ad esempio, quelli digitalici);
  • Diuretici;
  • Antiaritmici;
  •  Betabloccanti;
  • Cortisonici.

POMPELMO

Il pompelmo è considerato erroneamente un alimento dimagrante. 

Il pompelmo è ricco di naringenina o naringina, un flavonoide amaricante dalle proprietà antiossidanti ed ipocolesterolemiche.

Tornando alla naringenina o naringina, questa sembra anche avere delle interazioni con le cellule del fegato, nelle quali inibisce certi enzimi deputati alla metabolizzazione di farmaci e nutrienti. 

Il succo di pompelmo aumenta poi la tossicità di certi farmaci antiaritmici  e procura una grave vasodilatazione sistemica (soprattutto in presenza di nitrati) con l’assunzione di prodotti contro la disfunzione erettile (sildenafil, tadalafil, vardenafil).

TARASSACO

Contiene  potassio ha notevoli proprietà diuretiche. I blandi effetti diuretici e la ricchezza in potassio possono contribuire a regolarizzare i fluidi corporei e abbassare la pressione arteriosa (in tal caso il tarassaco va necessariamente assunto previo consulto medico).

Considerata l’elevata presenza di potassio nelle radici e nelle foglie di tarassaco, la concomitante assunzione di supplementi dietetici del minerale può causare un apporto dietetico eccessivo di potassio. Tale associazione dovrebbe quindi essere evitata, soprattutto in caso di compromissione della funzionalità renale.

Dando per scontata la buona funzionalità renale, l’iperkalemia (eccesso di potassio nel sangue) è un’eventualità quasi impossibile, ma l’eccesso di potassio è comunque controindicato.

Per la sua capacità di aumentare l’acidità gastrica, il tarassaco può anche aumentare gli effetti gastro lesivi dei FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei).

INTOLLERANZE/ALLERGIE - ADDITIVI - TUMORI (5° lezione 2/03/2023)

ALLERGIE E INTOLLERANZE

Le allergie ed intolleranze alimentari: i concetti molto diversi, nonostante i sintomi correlati siano, per certi versi, sovrapponibili.

Allergia alimentare

L’allergia è una reazione esagerata del sistema immunitario, che si scatena in risposta ad un antigene (antigene: una molecola che viene riconosciuta dal sistema immunitario come estranea e potenzialmente pericolosa). Piuttosto che di “antigene”, comunque, quando si considera un’allergia alimentare sarebbe più corretto parlare di “allergene”, il quale è percepito come elemento estraneo dall’organismo, quindi come una possibile fonte di danno. Il sistema immunitario provoca una risposta immunitaria per distruggere o neutralizzare qualsiasi allergene: è proprio l’alimento stesso con i suoi allergeni (più precisamente le proteine in esso contenute) a provocare questa risposta sproporzionata, che può sfociare anche in conseguenze molto dannose per l’organismo.

Intolleranza alimentare

Per intolleranza, invece, il concetto è diverso: il sistema immunitario non viene coinvolto, di conseguenza non si scatena una risposta immunitaria.
Già l’etimologia del termine “intolleranza” indica l’incapacità di sopportare, di tollerare: in seguito ad un’assunzione abbondante di un determinato alimento, l’organismo “si ribella” perché non riesce a digerirlo correttamente. Ecco il motivo per cui l’intolleranza è una reazione tossica dell’organismo, a differenza dell’allergia (reazione non tossica) che non dipende dalla dose assunta.

Per esempio: il sistema immunitario di un soggetto allergico alle fragole reagisce in modo esagerato anche se la persona mangia un solo frutto, il che significa che anche una sola fragola è percepita come “elemento estraneo e potenzialmente pericoloso” per l’organismo, che viene difeso provocando un primo campanello d’allarme (prurito ed irritazione a livello cutaneo).

Se invece una persona è intollerante alle fragole e ne assume una quantità molto piccola (una o due fragole), non ci sarà reazione alcuna a livello cutaneo. Tuttavia, nel momento in cui il soggetto mangia una dose abbondante di questi frutti, l’alimento non riesce più ad essere digerito: di conseguenza si registreranno effetti a livello della pelle.

Si possono evidenziare ancora altri fattori che distinguono allergie ed intolleranze: le allergie si classificano in base agli anticorpi implicati nella reazione (immunoglobuline: è un sinonimo di anticorpi , sono proteine coinvolte nella risposta immunitaria; la loro funzione consiste nel legare e neutralizzare le sostanze potenzialmente dannose per l’organismo), mentre le intolleranze, non coinvolgendo il sistema anticorpale, si dividono in “enzimatiche” e “farmacologiche”.
Per “enzimatica” s’intende un’intolleranza determinata dalla mancanza, o dalla carenza, di un enzima coinvolto nella digestione: l’enzima non riesce a digerire l’alimento. E’ il caso, ad esempio, dell’intolleranza al lattosio, lo zucchero caratteristico del latte, dovuta alla carenza di lattasi, l’enzima deputato alla digestione del lattosio.
Per “farmacologica” s’intende un’intolleranza in cui il soggetto è sensibile ad alcune sostanze che si trovano nell’alimento. E’ il caso, ad esempio, degli alimenti ricchi di tiramina e dei loro effetti in soggetti ipersensibili a questa sostanza.

L’unico fattore che accomuna, anche se solo in parte, le allergie alle intolleranze è la sintomatologia: comuni sono, infatti, gli effetti che si manifestano dopo una reazione allergica od un’intolleranza alimentare: dolori addominali, diarrea, nausea, gonfiore allo stomaco, prurito ed arrossamento della cute rappresentano i sintomi che si riscontrano in entrambe le problematiche. Comunque, i sintomi che si manifestano in un’allergia possono essere di maggior entità rispetto agli stessi che si verificano in un’intolleranza: le manifestazioni allergiche possono infatti sfociare anche in problemi respiratori, cardiorespiratori, fino alla forma più grave dello shock anafilattico che, se non si interviene immediatamente con farmaci specifici, può provocare coma e anche morte.

In merito ai rimedi che si possono adottare per evitare allergie ed intolleranze, se viene eliminato completamente quel determinato alimento dalla dieta di un soggetto allergico, esso non avrà più nessun tipo di manifestazione (dieta di esclusione). Se una persona è invece intollerante, può comunque continuare ad assumere quel dato alimento, ma a piccole dosi; a volte è suggerita l’astensione totale per brevi periodi, in modo da ricreare il patrimonio enzimatico necessario alla digestione dell’alimento.

Test per intolleranze

Per diagnosticare possibili intolleranze alimentari esistono diversi tipi di test che si eseguono mediante:

  • Esame del respiro (Breath Test)
  • Esami del sangue (esami sierologici).

 

L’esame del respiro serve per ricercare l’intolleranza al lattosio. 

Al paziente viene chiesto di ingerire lo zucchero del latte prima dell’esecuzione del test.

Il prelievo del respiro viene fatto prima e dopo l’ingestione. L’esame ha una durata di 2 ore, durante le quali si effettuano i 6 soffi che servono all’esame. 

Attraverso gli esami del sangue specifici, è possibile rilevare l’intolleranza al glutine mediante la ricerca di specifici anticorpi.

Per confermare la diagnosi di celiachia, qualora gli anticorpi dosati risultino positivi, è indispensabile inoltre la biopsia del duodeno.

Test per allergie

Sono diversi i test per le allergie::

  • ilVEGA Test che ricorre all’utilizzo di elettrodi,
  • la Biorisonanza che si serve invece di un computer per analizzare le variazioni del campo magnetico,

Ma la verità è che si tratta di test non scientificamente validati.

I mezzi per valutare in maniera “ufficiale” l’esistenza di un’allergia sono il Prick test e il dosaggio delle IgE,(immunoglobulina E) che vanno entrambi effettuati da medici allergologi di comprovata esperienza o in centri specialistici.

Si tratta di un test che viene effettuato sulla cute, di norma nella zona interna dell’avambraccio. Si esegue pungendo la pelle con aghetti monouso, di materiale anallergico, e inoculando piccole quantità dei vari allergeni sospetti, lasciando un tempo di reazione di circa 15 minuti. Se l’esito del test è positivo per allergia, si osserverà nella zona messa a contatto con l’allergene la comparsa di una eruzione sotto forma di rush, ponfi o chiazze rosse. Il test non è doloroso, fatta eccezione per un possibile leggero fastidio causato dalla sostanza inoculata.

ANISAKIDOSI

L’anisakidosi o anisakiasi è un’infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata dall’ingestione di pesce crudo o non sufficientemente cotto contenente le larve di parassiti (nematodi) appartenenti alla famiglia Anisakidae.

 parassiti si mantengono nell’ambiente marino attraverso un ciclo che coinvolge i mammiferi marini (balene, foche, delfini) i quali, nel ruolo di ospiti definitivi, ospitano i parassiti adulti nel loro intestino e nello stomaco. Attraverso le feci, i mammiferi marini rilasciano le uova, che dopo la schiusa vengono ingerite dai primi ospiti intermedi, piccoli crostacei che formano il cosiddetto krill, dove si sviluppa la larva di I stadio

L’uomo si infetta mangiando pesci o molluschi crudi o poco cotti contenenti le larve che nel tratto gastrointestinale causa gravi disturbi e/o reazioni allergiche.

Il rischio di contrarre l’infezione è dato dall’abitudine di consumare pesce crudo o poco cotto. L’infezione è molto frequente nei paesi dove il pesce viene mangiato crudo, leggermente sottaceto o sotto sale: Scandinavia (fegato di merluzzo), Giappone (consumo di sushi e sashimi), Olanda (aringhe fermentate), Bacino del Mediterraneo (alici crude o marinate) e costa Pacifica del Sud America

I sintomi più comuni con cui si manifesta la presenza di anisakis intestinale sono:

  • dolore allo stomaco acuto e severo,
  • nausea e vomito,
  • febbre lieve,
  • raramente ematemesi(sangue nel vomito) da ulcera.

Per prevenire il contagio è sufficiente evitare di consumare pesce e calamari crudi o poco cotti. 

Il pesce e molluschi vanno cotti bene, devono raggiungere una temperatura interna di almeno 63 °C.

Congelamento

Se si desidera consumare il pesce crudo è invece necessario abbatterlo, procedura che consiste nel congelare a specifiche temperature e in un arco di tempo brevissimo l’alimento.

Secondo il CDC americano sono necessari:

  • almeno -20 °C per 7 giorni (in totale), oppure
  • almeno -35 °C fino a solidificazione, poi conservazione ad almeno -35 °C per 15 ore
  • almeno -35 °C fino a solidificazione poi conservazione ad almeno -20 °C per 24 ore.

ADDITIVI ALIMENTARI

Gli additivi alimentari sono sostanze impiegate nell’industria alimentare durante la preparazione, lo stoccaggio e la commercializzazione degli alimenti destinati al consumo umano.

Sono prive di potere nutritivo.

Il loro utilizzo è finalizzato principalmente alla conservazione, edulcorazione e colorazione dei cibi.

Nei Paesi appartenenti all’UE, queste sostanze sono identificate sulle etichette alimentari con una sigla preceduta dalla lettera E.    La presenza di additivi alimentari, infatti, deve essere indicata per legge tra gli ingredienti degli alimenti.     Le etichette, inoltre, devono riportare sia la funzione dell’additivo impiegato che la sostanza specifica utilizzata.

Gli additivi più comunemente impiegati dall’industria alimentare sono antiossidanticolorantiemulsionantistabilizzantigelificantiaddensanticonservanti e dolcificanti.

L’Unione Europea ha stabilito una dose giornaliera massima per ogni additivo alimentare. In caso di abuso, gli effetti collaterali più comuni sono emicrania, allergie, patologie intestinali, iperattività. Un altro moltiplicatore di pericolosità di queste sostanze è rappresentato dall’effetto combinato e dall’interazione con alcuni alimenti.

Tra gli additivi di origine naturale troviamo alcune vitamine e nutrienti importanti per la salute: la vitamina C, o ascorbato (E300), e i derivati (E301, E302, E303) sono utilizzati come antiossidanti; il licopene(E160d), presente nel pomodoro, le antocianine (E163), abbondanti nei frutti di bosco, la vitamina B2, o riboflavina (E101), e la curcumina(E100) sono invece usati come coloranti. Glutammato (E620) e glicina(E640), due amminoacidi presenti normalmente nelle proteine, vengono impiegati come esaltatori di sapidità, mentre l’acido citrico (E330), contenuto nei limoni, è un comune regolatore di acidità. Tra gli addensanti troviamo la pectina (E440), che viene comunemente utilizzata anche nella cucina domestica per esempio per fare le marmellate.

nitrati e i nitriti vengono utilizzati come conservanti e aggiungono sapore e colore alle carni lavorate. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), organo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha classificato i nitrati e i nitriti ingeriti come probabilmente cancerogeni per gli esseri umani 

I nitrati e i nitriti di per sé non sono cancerogeni, ma possono andare incontro, sia a causa dell’azione del metabolismo sia attraverso la cottura, a una serie di trasformazioni chimiche che li convertono in N-nitrosammine, composti che invece sono considerati cancerogeni.

Un altro additivo alimentare, di cui si parla molto ed è continuo oggetto di discussione, è il glutammato monosodico, uno degli additivi più presenti nei cibi industriali, tipicamente utilizzato come insaporitore e come ingrediente fondamentale dei dadi da brodo. I principali organi internazionali in merito alla sicurezza alimentare hanno dichiarato che questo additivo di per sé non fa male alla salute dell’uomo: infatti non ci sono evidenze scientifiche certe sulla sua effettiva pericolosità. Tuttavia, le ricerche sulla sua nocività sono tuttora in corso, dunque, a scopo precauzionale sarebbe bene limitare il consumo di questa sostanza, e diverse aziende per cautelarsi l’hanno già eliminato dalle loro ricette. Esiste, poi, un’ipotesi, attualmente indagata da varie ricerche, che fino ad oggi ha avuto conferma solo in esperimenti di laboratorio: è stato visto che il glutammato potrebbe influenzare negativamente il metabolismo e l’appetito, e questo favorirebbe  l’obesità, il diabete e l’ipertensione.

MUTAZIONI CELLULARI - TUMORI

Il cancro si sviluppa quando la cellula non controlla bene il ciclo cellulare.

Il ciclo cellulare comprende due fasi principali, l’interfase e la mitosi.

Perché́ la cellula possa procedere regolarmente dall’interfase alla mitosi deve essere presente la ciclina, una proteina che regola la progressione del ciclo cellulare.

Se ci sono errori nella duplicazione della cellula interviene una proteina tumorale chiamata gene TP53 (o anche soppressore tumorale) che inibisce il ciclo cellulare e favorisce l’apoptosi (la morte programmata della cellula) La morte cellulare programmata è un meccanismo molto importante per la prevenzione della cancerogenesi. Infatti, nel cancro la cellula perde il controllo del ciclo.

lo sviluppo di un tumore maligno, ossia la cancerogenesi, richiede l’intervento di numerose mutazioni, il processo risulta quindi graduale.

  1. Una sola cellula viene interessata da una mutazione che la induce a dividersi ripetutamente.
  2. Tra le cellule figlie di questa cellula originariamente mutata, un’altra cellula muta e può̀ dare inizio a un tumore, le cui cellule godono di un vantaggio selettivo ulteriore.

    3.  Ora il tumore presente è in situ, poiché́ è confinato nel suo luogo di origine.

Per accrescersi di dimensione oltre a quella di un pisello, un tumore deve poter contare su una rete di capillari sanguigni ben sviluppata, che lo riforniscano di sostanze nutritive e di ossigeno. Le cellule del tumore rilasciano fattori di crescita che promuovono l’angiogenesi, ossia la formazione di nuovi vasi sanguigni (su questo aspetto si basano alcuni farmaci antitumorali, che rompono le reti di nuovi capillari cresciute intorno al tumore).

     4.   Nuove mutazioni disorganizzano il citoscheletro delle cellule tumorali e causano la mancanza dei fasci di filamenti di actina che le mantengono nella posizione normale; in questo modo, le cellule tumorali divengono mobili e possono invadere i tessuti sottostanti, producendo enzimi (detti proteinasi) che degradano la membrana basale del tessuto in cui sono immerse.

     5    Le cellule tumorali sviluppano anche la capacità di invadere i vasi linfatici e sanguigni, attraverso cui esse possono essere trasportate ad altre parti del corpo.

La malignità di un tumore, prima indicato come benigno, si presenta quando le cellule tumorali hanno invaso quasi tutti i linfonodi.

     6.   Quando le cellule cancerose danno origine a nuovi tumori in distretti lontani dal punto del tumore originario, si dice che il cancro è in mètastasi.

Non molte cellule cancerose raggiungono questo stadio (probabilmente 1 su 10 000), ma quelle che danno origine a metastasi rendono la guarigione completa molto più difficile rispetto al cancro non metastatizzato (che si mantiene in situ).

La maggior parte dei tumori è riconducibile a mutazioni acquisite nel corso della vita, che si verificano cioè solo in certe cellule somatiche di un certo tessuto e che, perciò, non vengono trasmesse alla prole. Tali mutazioni avvengono in modo casuale ma in molti casi sono indotte da agenti cancerogeni, come il fumo di sigaretta, o stili di vita poco sani (mancanza di attività fisica, eccesso di peso ecc.). Le mutazioni vanno accumulandosi con l’età, se colpiscono i geni deputati al controllo del ciclo cellulare, la cellula diventa cancerosa e inizia a riprodursi.

CURA DEL TUMORE

La chemioterapia è il trattamento del cancro con farmaci e tende ad agire in modo selettivo sulle cellule cancerose, che tipicamente si riproducono rapidamente e di continuo. A seconda del tipo di tumore, la chemioterapia:
cura il cancro, quando distrugge completamente le cellule malate e il tumore non si ripresenta più, portando alla guarigione completa;

controlla il cancro, quando impedisce alla massa tumorale di ingrandirsi, ne rallenta la crescita o distrugge le cellule malate che si sono diffuse dalla sede originale in altre parti  del corpo;
mitiga i sintomi del cancro, quando agisce riducendo la massa tumorale allentando la pressione su altri organi, che causa dolore; in questo caso si parla anche di cure palliative.

Molto spesso la chemioterapia è usata per diminuire la massa tumorale prima dell’asportazione chirurgica o della radioterapia, oppure per distruggere le cellule cancerose rimaste dopo l’asportazione chirurgica della massa cancerosa primaria, tenere sotto controllo eventuali cancri ricorrenti o distruggere le cellule malate nelle metastasi.

La radioterapia. La radioterapia si basa sull’uso di radiazioni dette ionizzanti (raggi X, raggi gamma e altri tipi), le quali colpiscono con forte energia le cellule bersaglio (il cancro), danneggiandole o distruggendole, e quindi fermando la crescita della massa tumorale solida. Il trattamento deve essere mirato e localizzato, dato che le radiazioni ionizzanti colpiscono allo stesso modo anche le cellule sane.

La radioterapia può essere impiegata da sola o in combinazione con la chemioterapia o la chirurgia e, come tutte le forme di cura del cancro, può avere effetti collaterali anche duraturi.

L’asportazione chirurgica è indicata particolarmente per i cancri in situ, ma visto il rischio elevato di lasciare alcune cellule malate, gli interventi sono spesso preceduti e/o seguiti dalla chemioterapia e/o dalla radioterapia. Gli effetti collaterali della rimozione chirurgica di un tumore comprendono complicazioni all’anestesia, rischio di infezioni e indebolimento del sistema immunitario. Inoltre, la rimozione del tumore primario può addirittura stimolare la propagazione di lesioni metastatiche.

SISTEMA DELLA RICOMPENSA-INTESTINO SECONDO CERVELLO (6° lezione 9/03/2023)

SISTEMA NERVOSO

Come in tutti i vertebrati, anche nell’uomo il sistema nervoso centrale (SNC) è costituito dall’encefalo e dal midollo spinale. L’encefalo è racchiuso nel cranio, mentre il midollo spinale si trova all’interno della colonna vertebrale. Il sistema nervoso periferico (SNP) è costituito da tutti i nervi e gli ammassi neuronali che si trovano al di fuori del sistema nervoso centrale. Tutti i segnali che entrano o lasciano il sistema nervoso centrale viaggiano lungo nervi pari (in numero di due): quelli collegati al midollo spinale sono chiamati nervi spinali, mentre quelli collegati all’encefalo si chiamano nervi cranici. Le vie sensoriali portano informazioni dalla periferia al sistema nervoso centrale.     Entrambe le strutture sono protette dallo scheletro: il midollo spinale è circondato dalle vertebre, mentre l’encefalo è racchiuso nel cranio.

Inoltre, il SNC è avvolto, nutrito e protetto da tre membrane che le circondano, le meningi. Lo spazio interposto tra le meningi è riempito di liquido cerebrospinale, che ha funzione di cuscinetto meccanico e di protezione.         Il liquido cerebrospinale è contenuto anche nel canale centrale del midollo spinale e all’interno dei ventricoli dell’encefalo, che rappresentano spazi di interconnessione che producono e conservano il liquido cerebrospinale.    La meningite (l’infiammazione delle meningi) è una grave malattia causata da batteri e virus che invadono queste membrane.

Il cervello (suddiviso nei due emisferi destro e sinistro), che è fortemente sviluppato nei mammiferi, integra gli input sensoriali e motori e garantisce le capacità mentali superiori.    Nella specie umana, lo strato più̀ esterno del cervello, chiamato corteccia cerebrale, è eccezionalmente ampio e complesso.

Le unità funzionali del sistema nervoso sono i neuroni, o cellule nervose.

Essi ricevono l’informazione sensoriale, la convogliano a un centro di integrazione (l’encefalo) e conducono quindi i segnali dal centro di integrazione agli organi effettori, come le ghiandole e i muscoli.

Gli emisferi cerebrali.

Un profondo solco, la scissura longitudinale, divide in cervello nei due emisferi cerebrali: destro e sinistro; ciascuno di essi riceve informazioni e controlla il lato opposto del corpo.

Sebbene i due emisferi appaiano simili, quello destro è associato con le abilità artistiche e musicali, le emozioni, le relazioni spaziali e il riconoscimento delle forme, mentre l’emisfero sinistro è maggiormente associato alle capacità matematiche, al linguaggio e al ragionamento analitico.

I due emisferi sono connessi da un ponte di tratti nervosi che si trovano all’interno del corpo calloso.

La trasmissione dei segnali fra i neuroni avviene tramite molecole chiamate neurotrasmettitori.

Tra le sostanze conosciute come neurotrasmettitori (o sospettate di esserlo), le principali sono l’acetilcolina, la norepinefrina (noradrenalina), la dopamina, la serotonina e il GABA (acido gamma-amminobutirrico). Vari farmaci e, soprattutto, droghe, alcune delle quali alterano lo stato d’animo, aumentano oppure bloccano il rilascio di un neurotrasmettitore, ne imitano l’azione oppure ne bloccano i recettori o, ancora, interferiscono con la rimozione finale del neurotrasmettitore dalla fessura sinaptica.

L’acetilcolina (ACh) e la norepinefrina (NE) sono neurotrasmettitori sia del sistema nervoso centrale sia del sistema nervoso periferico. La malattia di Alzheimer è associata anche alla deficienza di acetilcolina nel sistema nervoso centrale. Il botulismo è un raro avvelenamento da alimenti causato dal batterio Clostridium botulinum, che produce la tossina botulinica, la quale blocca il rilascio di acetilcolina a livello delle sinapsi muscolo-scheletriche. Tra sei ore e otto giorni dopo l’ingestione di cibo contaminato (in genere mal conservato in scatola) la persona inizia a sentire gli effetti della tossina e in seguito, se a essere colpiti sono i muscoli respiratori, può̀ morire. La tossina botulinica è usata nel farmaco cosmetico conosciuto con il nome commerciale di Botox, che serve a paralizzare i muscoli scheletrici facciali per ridurre la comparsa delle rughe d’espressione.

La serotonina nel sistema nervoso centrale è coinvolta nella regolazione del ritmo sonno-veglia, dell’umore, dell’appetito e della sessualità̀ e a livello periferico, per esempio, coordina le attività̀ intestinali e la coagulazione del sangue. Livelli troppo bassi di noradrenalina e di serotonina sono legati agli stati depressivi. Il farmaco antidepressivo Prozac blocca la rimozione della serotonina a livello della sinapsi.

La dopamina si trova principalmente nel sistema nervoso centrale. In particolare, la dopamina è coinvolta nelle emozioni, nello stato di attenzione, nell’apprendimento e nel controllo della funzione motoria. Il morbo di Parkinson, in cui si ha una riduzione progressiva della mobilità autonoma e volontaria, è associato con una carenza di dopamina nel cervello. Molti dei farmaci che agiscono sullo stato d’animo interferiscono o accentuano l’effetto della dopamina.

Il GABA è un abbondante neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale. Il farmaco noto come Valium si lega ai recettori del GABA, perciò̀ ne accentua gli effetti.

I neuromodulatori sono molecole che bloccano il rilascio di un neurotrasmettitore o che modificano la risposta neuronale a un neurotrasmettitore. La caffeina, contenuta nel caffè, nel tè e nel cioccolato, contribuisce al nostro stato vigile interferendo con gli effetti dei neurotrasmettitori inibitori nel cervello.

Due neuromodulatori ben conosciuti sono la sostanza P e le endorfine.

La sostanza P, un polipeptide a catena corta, è implicata nella modulazione del dolore e viene rilasciata dai neuroni se è presente un danno, per esempio una ferita, facendoci percepire il dolore. Le endorfine bloccano il rilascio della sostanza P e, per questo motivo, si possono considerare degli antidolorifici naturalmente prodotti dal corpo. Si ritiene che le endorfine prodotte dal cervello siano associate a quello stato di benessere che molti atleti e corridori sperimentano dopo l’esercizio fisico; anche lo stress emotivo è legato alla produzione di endorfine. Gli oppiacei, per esempio la codeina (usata come farmaco) ma anche l’eroina e la morfina, funzionano in modo simile alle endorfine, riducendo il dolore e creando uno stato di benessere temporaneo.

LA RETE DELLA RICOMPENSA

Una delle parti del cervello che fa parte della rete della ricompensa è l’ipotalamo; esso regola il senso di fame e sete, il sonno, la temperatura e il bilancio idrico. L’ipotalamo, inoltre, controlla la ghiandola pituitaria (o ipofisi) ed è quindi un collegamento tra i sistemi nervoso ed endocrino.

Le esperienze piacevoli fanno si che venga rilasciata dopamina che genera nel nostro cervello una sensazione di piacere.

Così un eccesso di cibo eccita il sistema della ricompensa nel nostro cervello, producendo dopamina; negli obesi si ha quindi lo stimolo a continuare a mangiare anche se si sarebbe già sazi.

Normalmente tutto parte dagli ormoni della fame generati nell’intestino che stimolano i circuiti dell’alimentazione nell’ipotalamo; con il riempimento dell’intestino e la crescita del livello di nutrienti nel sangue, nell’ipotalamo e nei centri della ricompensa vengono liberati ormoni che sopprimono la voglia di cibo e inibiscono l’appetito.

Nell’iperalimentazione il circuito della ricompensa prende il sopravvento; i cibi grassi e lo zucchero provocano la produzione di endorfine anch’esse sostanze cerebrali del benessere. Viene stimolato quindi il rilascio di serotonina e dopamina che, nelle persone obese, fanno si vengano ridotti o eliminati gli effetti degli ormoni legati al senso di sazietà per cui si continua a mangiare.

Processi analoghi avvengono con l’assunzione di droghe.

Tutte le droghe vengono assunte perché́ provocano piacere o, in qualche modo, distolgono da una realtà̀ che appare sgradevole; tuttavia, questi effetti gratificanti sono solo temporanei, non risolvono i problemi delle persone e sono, al contrario accompagnati da fenomeni preoccupanti e dannosi per la salute psicofisica, come la dipendenza e l’assuefazione; in alcuni casi i danni sono permanenti.

Esistono numerose sostanze (sia ricavate da sostanze naturali che di sintesi) che, introdotte nel nostro organismo sotto varia forma, si possono sostituire ai neurotrasmettitori oppure interagire con la loro attività̀, potenziandone o inibendone gli effetti. Nel loro complesso, queste sostanze psicoattive sono dette droghe, sostanze d’abuso o sostanze stupefacenti.

Dipendenza, astinenza e assuefazione.

La dipendenza si manifesta come il bisogno continuo di assumere la sostanza stupefacente e con la progressiva difficoltà a ridurne l’utilizzo o a farne a meno. Si parla di assuefazione quando la quantità̀ abituale di droga non è più̀ sufficiente a innescarne gli effetti sperimentati in precedenza. Quando, in seguito, si interrompe l’assunzione di una droga, l’organismo reagisce con la sindrome dell’astinenza, che si manifesta in vario modo a seconda della sostanza, ma i cui sintomi sono tutti riconducibili all’assenza della sostanza stupefacente e al desiderio incontrollabile di assumerla.

Questi effetti, dipendenza, assuefazione e astinenza, si manifestano anche nei neonati figli di madri che hanno fatto uso di droghe nel periodo della gravidanza; inoltre, molte sostanze stupefacenti interferiscono in vari modi con lo sviluppo fetale e possono provocare gravi problemi, di natura sia psichica sia fisica, al neonato.

L’alcol. L’alcol è la sostanza d’abuso più̀ diffusa e socialmente accettata perché́ la sua assunzione in modiche quantità̀ (per esempio un bicchiere di vino a pasto) non è dannosa per l’organismo umano e, anzi, nelle persone adulte e non sofferenti di malattie del fegato, dello stomaco o dell’intestino, ha effetti benefici; infatti l’alcol etilico (etanolo), potenziando l’effetto del neurotrasmettitore GABA, riduce le inibizioni e «risveglia» la fantasia, oltre ad accrescere la secrezione dei succhi gastrici e quindi stimolare l’appetito e facilitare la digestione. Tuttavia, l’abuso di alcol porta all’ubriachezza, i cui sintomi sono: totale perdita di controllo di sé, incapacità̀ di coordinare i movimenti, vertigini, nausea e vomito. Se il livello di alcol nel sangue (alcolemia) va oltre una certa soglia può̀ sopraggiungere il coma e anche la morte.

Il consumo cronico di alcol, detto alcolismo o etilismo, può̀ danneggiare i lobi frontali, diminuire il volume totale del cervello e aumentare le dimensioni dei ventricoli cerebrali (cavità presenti all’interno dell’encefalo). I danni cerebrali si manifestano con perdita permanente della memoria, amnesia, stato confusionale, apatia, disorientamento e mancanza di coordinazione motoria. La dipendenza prolungata da alcol può̀ anche danneggiare in modo irreversibile il fegato, al punto da rendere necessario un trapianto. Senza fegato, infatti, non si può̀ vivere, perché́ questo importantissimo organo partecipa alla stragrande maggioranza dei processi metabolici e ha un ruolo insostituibile nella neutralizzazione delle tossine.

La nicotina. Quando si fuma tabacco, la nicotina raggiunge rapidamente il sistema nervoso centrale, specialmente il mesencefalo. In questa sede la nicotina si lega ai neuroni, causando il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore che esalta il senso del piacere e che è coinvolto nel controllo motorio. Nel sistema nervoso periferico la nicotina agisce anche come stimolante, imitando l’acetilcolina e aumentando il ritmo del battito cardiaco, la pressione del sangue e l’attività̀ muscolare. Le dita delle mani e dei piedi si raffreddano, poiché́ si verifica una vasocostrizione periferica. L’aumentata motilità̀ del tubo digerente dovuta all’uso di nicotina può̀ spiegare almeno in parte la perdita di peso che talvolta si riscontra nei fumatori.

Gli effetti fisiologici e la dipendenza dalla nicotina sono ben conosciuti. Si calcola che circa il 70% dei fumatori sia assuefatto alla nicotina e che il tasso di fallimento tra le persone che tentano di smettere di fumare oscilli tra l’80 e il 90%. I sintomi dell’astinenza comprendono irritabilità̀, mal di testa, insonnia, scarse prestazioni cognitive, bisogno spasmodico di fumare e aumento di peso. Tra i modi che aiutano a liberarsi dal tabagismo, cioè la dipendenza dal tabacco, vi sono l’applicazione di cerotti alla nicotina, l’uso di gomma da masticare alla nicotina o l’assunzione di farmaci per via orale che blocchino l’azione dell’acetilcolina. L’efficacia di queste varie terapie è variabile. Una terapia ancora in via sperimentale prevede una sorta di «immunizzazione» del cervello dei fumatori rispetto alla nicotina, attraverso iniezioni che inducono la produzione di anticorpi che si legano a questa sostanza, impedendole di entrare nel cervello; l’efficacia di tale approccio non è tuttavia ancora nota.

 La cocaina è un alcaloide derivato dall’arbusto Erythroxylon coca. La cocaina, fumata, inalata (sniffamento) o iniettata, è un potente stimolante del sistema nervoso centrale che interferisce con la ricaptazione della dopamina dando sensazione di benessere che dura da 5 a 30 minuti. L’abuso di cocaina porta a insonnia cronica, inappetenza, aumento del desiderio sessuale, tremori e psicosi da cocaina, condizione simile alla schizofrenia paranoide, una grave malattia mentale. Tra un’assunzione e l’altra le persone accusano affaticamento, depressione, irritabilità̀, perdita della memoria e confusione mentale.       Crack è il nome popolare della cocaina sotto forma di fumo («crack» si riferisce al crepitio che si sente mentre si fuma), un tipo di assunzione che permette alla cocaina di raggiungere rapidamente il cervello, causando un effetto intenso e immediato (rush). La cocaina provoca intensa assuefazione e danni cerebrali e morti associate al consumo di questa droga sono in genere dovute ad arresti cardiaci o respiratori.

Leroina è una droga pesante derivata dalla resina o dalla linfa del papavero da oppio, pianta diffusamente coltivata dalla Turchia al Sud-Est asiatico e in America Latina. Si tratta di un oppiaceo, ad alta assuefazione che agisce come deprimente del sistema nervoso. L’eroina, che può̀ essere assunta per iniezione, sniffata o fumata, raggiunge rapidamente il cervello, dove viene convertita in morfina, che provoca euforia. Gli oppiacei deprimono la respirazione, bloccano le vie del dolore, annebbiano la mente e talvolta provocano nausea e vomito. Oltre ad assuefazione e crisi di astinenza, spesso l’uso dell’eroina è accompagnato da epatiti virali, HIV/AIDS e infezioni batteriche, dovute alla condivisione di aghi infetti. Gli eroinomani possono avere convulsioni e morire per infarto.

Le droghe «di gruppo». La metanfetamina e l’ecstasy sono considerate droghe «di gruppo» (club drug o party drug) La metanfetamina (o meth o speed) è una pericolosa droga sintetica (spesso prodotta in clandestinità̀) in polvere o in cristalli (crystal meth o ice). La sua struttura chimica è simile a quella della dopamina e il suo effetto stimolatore imita quello della cocaina: annulla gli effetti della fatica, fa restare svegli e migliora temporaneamente l’umore del consumatore, ma segue uno stato di notevole agitazione che può portare a comportamenti violenti. L’uso cronico di questa droga porta alla psicosi da metanfetamina, caratterizzata da paranoia, allucinazioni uditive e visive, chiusura in sé stessi e aggressività, sbalzi di umore. Un forte abuso porta a ipotermia, convulsioni e anche alla morte.

L’ecstasy, nome popolare dell’MDMA (metilenediossimetanfetamina), è una droga con effetti simili a quelli della metanfetamina, ma sotto forma di compresse. Oltre a provocare il rialzo della temperatura corporea (anche con effetti fatali), l’ecstasy sovrastimola i neuroni che producono serotonina, neurotrasmettitore che aumenta il tono dell’umore. Un uso continuo di ecstasy induce danni cerebrali permanenti.

Le droghe con effetti sedativi, tristemente note anche come date rape («stupro su appuntamento»), comprendono il Rophinol (roofies), il GHB (acido gamma-idrossibutirrico) e la chetamina (special K). Queste droghe possono essere somministrate a persone ignare degli effetti (torpore, amnesia e disorientamento), che diventano vulnerabili ad aggressioni a scopo sessuale.

Il trattamento per le droghe che danno assuefazione.

Attualmente il trattamento per le droghe che provocano assuefazione si basa soprattutto sull’approccio comportamentale (psicoterapia). L’assuefazione da eroina può̀ essere trattata anche con oppiacei di sintesi, come il metadone o il suboxone, che leniscono i sintomi dell’astinenza e bloccano gli effetti dell’eroina, ma con effetti collaterali che possono essere letali nel caso di overdose (dose esagerata).

DEPRESSIONE E PROBLEMI INTESTINALI

Nel nostro intestino è presente una rete di 500 milioni di neuroni è per questo che viene chiamato il nostro secondo cervello. E’ un’immagine un po’ azzardata se paragoniamo le sue funzioni a quelle del sistema nervoso centrale, composto di circa 85 miliardi di neuroni e capace di creatività artistica e linguaggio articolato. Ma non del tutto fuori luogo, perché il sistema nervoso enterico è in grado di controllare in autonomia la muscolatura interna dell’intestino, tramite la trasmissione di segnali nervosi, e di produrre sostanze che entrano in circolo e oltrepassano la barriera emato – encefalica che protegge il cervello. Si stima che il 90%della serotonina, un ormone neurotrasmettitore associato al buonumore e coinvolto in disturbi depressivi e psichiatrici, sia prodotta nell’intestino.

Sistema nervoso enterico e centrale comunicano tramite il nervo vago, il sistema immunitario, il sistema endocrino e si influenzano reciprocamente, a volte mandando in altalena il nostro umore.      

Stati di ansia e stress, ad esempio,aumentano la motilità intestinale e nei casi più severi un eccessivo rilascio di citochine provoca uno stato di infiammazione della mucosa intestinale.

Ma vale anche il contrario.

La sindrome dell’intestino irritabile aumenta non solo la produzione di serotonina ma anche dell’enzima deputato a demolirla: questo può provocare una diminuzione del tasso di serotonina nel sistema nervoso centrale, con conseguente insorgenza di depressione.

Anche nelle persone all’interno dello spettro autistico sono spesso stati osservati problemi digestivi, mentre i pazienti affetti da Parkinson sono comunemente interessati da costipazione.

I ricercatori hanno anche notato che un aumento dei disturbi depressivi è associato a un eccessivo uso di antibiotici, che fanno piazza pulita dei microrganismi che abitano dentro di noi, sia quelli cattivi, sia quelli buoni.

Nel nostro intestino albergano miliardi di batteri, virus e funghi che svolgono funzioni che il nostro organismo non sarebbe in grado di svolgere da solo, una grande quantità di microrganismi che ci aiutano a digerire e che producono sostanze benefiche per il sistema immunitario. Microbiota è il nome che è stato assegnato all’insieme dei nostri piccoli ma numerosi inquilini, se si pensa che sono circa 20 milioni i geni che li compongono, un’enormità se comparati ai 20.000 del solo Dna umano. Il nostro corpo più che un organismo è un vero e proprio ecosistema cooperativo.

E’ stato trovato che le persone affette da depressione presentano una carenza di due specie di batteri intestinali. Secondo questo recente filone di ricerca, il microbiota potrebbe essere quel tramite attraverso cui l’intestino e il cervello si influenzano reciprocamente. Proprio nelle sostanze prodotte da alcuni batteri intestinali, che compongono quello che è stato ribattezzato lo psicobiota, potrebbero risiedere i segreti per lo sviluppo di nuovi farmaci, gli psicobiotici, contro alcune malattie neurodegenerative e disturbi psichiatrici.

Esperimenti sui topi hanno mostrato che la presenza di certi microbi negli esemplari giovani condiziona la loro risposta allo stress da adulti.

Secondo recenti studi si è trovato che l’amminoacido triptofano prodotto da diversi batteri intestinali potrebbe ricoprire un ruolo centrale. La serotonina viene sintetizzata a partire dal triptofano, ma a partire da quest’ultimo si ottiene anche la chinurenina, una sostanza che reagisce producendo molecole tossiche per i neuroni. Secondo una recente teoria le persone affette da depressione convertono troppo triptofano in chinurenina e troppo poco in serotonina: sarebbe questo uno dei meccanismi attraverso cui le modificazioni del microbiota influiscono sulla salute mentale.

Centri di ricerca stanno studiando una serie di microrganismi in grado di produrre una sostanza, l’acido gamma-amminobutirrico (Gaba), che è anche un neurotrasmettitore inibitore dell’attività neurale, la cui scorretta regolazione è implicata nella depressione e in altri disturbi mentali. Assieme a Gaba questi batteri producono altre molecole che si crede siano benefiche per chi è affetto da depressione e altri disturbi mentali.

Lo sviluppo di farmaci contro l’Alzheimer e altri disturbi neuropsichiatrici vive da diversi anni una fase di stallo e i microbi dentro di noi potrebbero contenere risposte promettenti, non solo per trattare disturbi intestinali che hanno una componente neurologica come la costipazione e alcune forme di mal di pancia, ma anche disturbi d’ansia, insonnia, autismo, schizofrenia, epilessia, Alzheimer e Parkinson, e ancora allergie e obesità.

Molti trattamenti del microbiota sono ancora classificati come probiotici, categoria per la quale non esistono le stesse restrizioni e gli stessi controlli che sono necessari per i farmaci, che devono prima superare tutti i test clinici controllati e randomizzati per dimostrare la loro efficacia e poi venire approvati dalle istituzioni competenti (la Food and Drug Administration negli Stati Uniti, l’Agenzia italiana del farmaco in Italia).

C’è ancora molto da scoprire sul microbiota e su come possa essere legato non solo alla salute mentale ma anche a stati di infiammazione, al corretto funzionamento del sistema immunitario e persino all’insorgenza di tumori.

I microrganismi che vivono nel nostro apparato digerente per milioni di anni sono co-evoluti con noi e con gli esseri viventi da cui discendiamo. È ragionevole ritenere che tra il nostro cervello e questi batteri esista una forma di comunicazione basata su segnali chimici e molecolari quasi interamente da scoprire.

Il cervello del resto non sarebbe in grado di prendere decisioni razionali in assenza di emozioni. Alcuni segnali chimici di questi sentimenti nascono nell’intestino, dove sistema nervoso enterico e microbiota favoriscono o inibiscono la produzione di ormoni, neurotrasmettitori, e altre molecole, alcune delle quali arrivano direttamente alle sinapsi cerebrali.

OMEOPATIA

L’omeopatia è una pratica terapeutica pseudo-scientifica formulata dal medico tedesco Samuel Hahnemann nella prima metà dell’Ottocento. Si basa su tre principi che la scienza medica moderna non è mai riuscita a dimostrare come validi.

Il primo è il principio dei simili che presuppone che un sintomo o una malattia possano essere curati da sostanze di origine animale o vegetale in grado di indurre, in una persona sana, lo stesso sintomo o lo stesso disturbo.

Il secondo principio dell’omeopatia è la diluizione: le sostanze individuate in base al primo principio vengono somministrate dopo esser state abbondantemente diluite, il più delle volte così diluite che anche le sofisticate macchine moderne per l’analisi chimica (come il gascromatografo) non sono più in grado di rilevarne alcuna traccia.

Il terzo principio è quello della dinaminazzione (scuotere continuamente la soluzione durante la preparazione, anche decine di volte) dovrebbe avere, secondo gli omeopatici, lo scopo di donare all’acqua (solvente) una parte delle caratteristiche della sostanza di partenza (soluto).

Chiaramente per la scienza ufficiale l’omeopatia è una teoria senza fondamento i cui preparati non possono aver alcun effetto terapeutico sull’organismo in base a quanto sappiamo sul funzionamento della materia e del corpo umano.

 

Diversi scienziati hanno tentato di dimostrare che esistono in natura meccanismi tutt’ora sconosciuti in grado di spiegare come una soluzione (acqua o alcol) possa modificare le sue proprietà solo per essere stata in contatto con quantità infinitesime di un soluto (il principio attivo). Sono state ipotizzate diverse teorie, tra le quali la cosiddetta “memoria dell’acqua“, un’idea avanzata nel 1988 dal medico e immunologo francese Jacques Benveniste e pubblicata (con riserva del direttore) sulla prestigiosa rivista Nature. L’esperimento di Benveniste non è mai stato replicato, neppure dal suo stesso laboratorio, e l’articolo è stato poi ritrattato per frode.

In anni più recenti alcuni fisici hanno tentato di dimostrare che la modalità di preparazione dei prodotti omeopatici, che prevede, oltre alla diluizione, anche la cosiddetta succussione o agitazione del rimedio, produce nanobolle di gas in grado di “conservare” le proprietà della sostanza attiva anche se chimicamente di questa non vi è più traccia. Anche questa teoria non è mai stata scientificamente dimostrata.

Dagli studi clinici condotti da numerosi laboratori non è stato possibile dimostrare un’efficacia superiore al placebo; per questo motivo la scienza ufficiale raccomanda che l’omeopatia non debba essere usata per curare malattie croniche o gravi oppure che possono diventarle se non trattate adeguatamente.

Probabilmente i pazienti che si affidano all’omeopatia ottengono risultati positivi proprio da questo effetto placebo (curando la mente si migliora anche la situazione della malattia)

Di contro non presentaNO praticamente reazioni avverse ai farmaci omeopatici; e al limite si tratta di sintomi molto lievi, come un’accentuazione del nervosismo, che scompaiono alla sospensione del farmaco.

L’azione dell’omeopatia è più simile all’azione di un vaccino che a quella di un antibiotico. Con la medicina omeopatica si somministrano infatti sostanze simili all’agente che produce quel tipo di malattia. In questo modo si stimola una reazione immunitaria adeguata che va a rinforzare le difese dell’organismo favorendo la guarigione o prevenendo la patologia.

L’omeopatia mette in primo piano il malato e non la malattia, proponendosi di curare non tanto la patologia in sé quanto il “terreno” su cui la malattia sta agendo.

Gli omeopatici spendono molto tempo con il paziente, ricercando gli aspetti psicologici, caratteriali e dedicandosi al dialogo con il malato. Facendo riferimento a questi aspetti soggettivi l’omeopatia migliora il rapporto medico paziente in maniera radicale, curando la dimensione umana della malattia.

Sicuramente uno dei princìpi più importanti che l’omeopatia insegna alla medicina tradizionale è l’individualizzazione del malato. Andrebbe quindi migliorato radicalmente il rapporto tra medico e paziente prestando maggiore importanza all’aspetto umano della malattia. A volte un sorriso, una pacca sulla spalla e una frase rassicurante possono fare molto di più di tanti medicinali veri o presunti.

SANGUE - FIORI DI BACH - AYURVEDA (7° lezione 16/03/2023)

COMPOSIZIONE DEL SANGUE

Il sangue è un complesso tessuto connettivo fluido che svolge le seguenti funzioni:

  1. trasporta sostanze ai capillari e dai capillari, dove hanno luogo gli scambi con il liquido interstiziale;
  2. contribuisce alla difesa dell’organismo contro le invasioni di agenti patogeni (virus e batteri e materiali estranei);
  3. contribuisce alla regolazione della temperatura corporea;
  4. forma i coaguli in caso di ferite, impedendo emorragie e riparando le lesioni.

Il sangue umano è formato da due frazioni ben distinguibili: la porzione liquida, detta plasma, e gli elementi figurati, costituiti da varie cellule e dalle piastrine. Gli elementi figurati vengono prodotti continuamente dal midollo osseo rosso contenuto in alcune ossa piatte e lunghe attraverso un processo chiamato emopoiesi.

Il plasma. Il plasma è composto principalmente da acqua (90-92%) e proteine (7-8%), ma contiene anche piccole quantità di molti tipi di molecole, tra cui sostanze nutritive, sostanze di scarto e sali. I sali e le proteine sono coinvolti nel sistema tampone che mantiene il pH ematico entro limiti ben precisi, intorno al valore di 7,4 (leggermente basico). L’albumina, la proteina plasmatica più abbondante, tra- sporta la bilirubina (un prodotto delle degradazione dell’emo- globina), diversi ormoni liposolubili e molti farmaci. Infine, le lipoproteine trasportano il colesterolo, che è una molecola in- dispensabile per la costruzione delle membrane plasmatiche.

 

I globuli rossi detti anche eritrociti, hanno il compito di trasportare l’ossigeno. Si tratta di piccole cellule a forma di disco biconcavo che, a maturità, sono prive del nucleo e contengono il pigmento respiratorio emoglobina. In un millimetro cubo di sangue vi sono 4-6 milioni di globuli rossi e ciascuno di essi contiene circa 250 milioni di molecole di emoglobina. L’emoglobina contiene l’elemento chimico ferro, che si combina (debolmente) con l’ossigeno; in questo modo, i globuli rossi del sangue trasportano ossigeno in tutto il corpo. Se il numero di globuli rossi per unità di volume è insufficiente, oppure se i globuli rossi non contengono abbastanza emoglobina, la persona soffre di anemia e manifesta spossatezza.

Dopo una vita media di circa 120 giorni gli eritrociti vengono distrutti, principalmente nel fegato e nella milza, dove sono inglobati da grosse cellule fagocitiche. Durante la degradazione dei globuli rossi viene rilasciata emoglobina, dalla quale l’organismo recupera il ferro che viene inviato nuovamente al midollo osseo rosso; le altre parti della molecola di emoglobina vengono a loro volta degradate e quindi escrete dal fegato sotto forma del pigmento biliare bilirubina, il principale responsabile del colore delle feci.

L’ormone eritropoietina, che stimola la produzione di eritrociti, viene sintetizzato dai reni a partire da una molecola precursore prodotta dal fegato.

globuli bianchi sono divisi in sei sottogruppi, ognuno dei quali ha funzioni distinte di difesa dell’organismo

  • neutrofili rappresentano il 50-80% di tutti leucociti e sono capaci di fagocitosi, una delle funzioni di difesa di estrema importanza. Durante questo processo il neutrofilo ingloba e digerisce microrganismi, cellule anomale e particelle estranee presenti nel sangue e nei tessuti. Durante un episodio infettivo, il loro numero cresce enormemente e questo, oltre che fornire all’organismo un formidabile mezzo di difesa, rappresenta un utile indizio per diagnosticare l’infezione in corso.
  • eosinofoli  sono coinvolti nelle reazioni allergiche e nella difesa contro le infestazioni parassitarie e, nel sangue, rappresentano all’incirca l’1-4% della popolazione leucocitaria. Gli eosinofili proteggono l’organismo dall’eventuale attacco di parassiti, che combattono rilasciando sostanze in grado di danneggiarli o ucciderli.
  • basofili, sono cellule non dotate di attività di fagocitare che operanocontro parassiti di maggiori dimensioni, liberando molecole tossiche contro gli agenti invasori (comportandosi quindi come gli eosinofili). I basofili, però, liberano anche istamina, eparina ed altri composti che partecipano in maniera significativa a reazioni allergiche.
  • linfociti, producono immunoglobuline (anticorpi) o tossine in grado di indurre la distruzione delle cellule batteriche o le cellule riconosciute come estranee all’organismo (attività detta citotossica-killer). Possono anche produrre molecole (citochine o interleuchine) che stimolano l’attivazione e la proliferazione di altri linfociti o richiamano in sede di infezione altre cellule coinvolte nella risposta immunitaria come i macrofagi o i neutrofili.
  • monociti sono un tipo di globuli bianchi che svolgono più ruoli nell’ambito delle nostre difese immunitarie. Tra questi compiti spicca la capacità fagocitaria, i cui processi di attivazione non sono solamente implicati nella classica difesa da patogeni (infezioni), ma anche nella regolazione di altre attività fisiologiche (coagulazione) e/o patologiche (aterosclerosi).
  • cellule dendritiche, La cellula dendritica ricopre il ruolo di sentinella e se avverte la presenza di un patogeno nell’organismo, stimola la risposta immunitaria dei linfociti B e T, specifica contro quell’antigene

Le piastrine. Il sangue contiene 150 000-300 000 piastrine per mm3, derivate dalla frammentazione di grosse cellule del midollo osseo chiamate megacariociti. La figura illustra il processo della coagulazione del sangue, in cui le piastrine giocano un ruolo indispensabile. 1 Quando un vaso sanguigno viene danneggiato le piastrine si addensano nell’area, tamponano parzialmente la ferita e avviano una serie di reazioni a cascata con conseguente formazione di un tappo (coagulo) che chiude la ferita.

Al processo di coagulazione partecipano varie sostanze che si attivano a vicenda, chiamate nel complesso fattori della coagulazione: essi comprendono alcune proteine prodotte dal fegato e immesse nel sangue in forma inattiva, lo ione Ca2+, oltre a diverse molecole rilasciate dagli stessi tessuti danneggiati e dalle piastrine. Al termine delle reazioni a cascata, un fattore della coagulazione chiamato attivatore della protrombina, coadiuvato da ioni Ca2+, ha il compito di convertire la protrombina in trombina. La trombina agisce quindi come un enzima che distacca due corti amminoacidi da ciascuna molecola di fibrinogeno, una proteina plasmatica. Questo distacco attiva i diversi frammenti di fibrinogeno, che cominciano ad agganciarsi tra loro formando lunghi filamenti di fibrina, che si dispongono intorno al tappo di piastrine nell’area della ferita e formano una rete che costituisce il coagulo. Il reticolo di fibrina, in cui rimangono intrappolati anche gli eritrociti, resta sul posto solo temporaneamente, dato che subito il vaso sanguigno viene riparato e un enzima, la plasmina, distrugge il reticolo e ristabilisce la fluidità del plasma.

CLASSIFICAZIONE DEL TIPO DI SANGUE

Molte delle prime trasfusioni di sangue tentate nella storia della medicina fallirono portando a gravi problemi di salute e spesso anche alla morte dei riceventi. Si scoprì in seguito che soltanto particolari tipi di sangue sono compatibili tra donatori e riceventi. Infatti, le membrane plasmatiche dei globuli rossi portano proteine o carboidrati specifici che, una volta nel sangue di un ricevente, si comportano come antìgeni e vengono quindi attaccati dai linfociti perché riconosciuti come estranei. Sono stati classificati molti gruppi di antìgeni dei globuli rossi, ma i più importanti sono quelli del sistema AB0 (A, B, zero). Dal punto di vista clinico è vitale che i gruppi siano associati correttamente, proprio per evitare reazioni di vero e proprio rigetto nelle trasfusioni, una reazione potenzialmente letale.

Il sistema AB0. Nel sistema AB0 la presenza o l’assenza degli antìgeni di tipo A e di tipo B sui globuli rossi determina il tipo di sangue di un individuo, ossia il suo gruppo sanguigno. Per esempio, se una persona ha sangue di tipo A significa che i suoi eritrociti presentano l’antìgene di tipo A. Nel sistema AB0 vi sono quattro gruppi sanguigni: A, B, AB e 0 (zero). Nel plasma sanguigno vi sono anticorpi che attaccano gli antìgeni non presenti sui propri globuli rossi. Questi anticorpi sono chiamati anti-A e anti-B. La tabella che segue indica quali anticorpi sono presenti nel plasma di ciascun tipo di sangue.

 

Poiché il plasma del sangue di tipo A ha gli anticorpi anti-B ma non quelli anti-A, un donatore del gruppo A può donare sangue a un ricevente con lo stesso tipo di sangue. Se del sangue di tipo A viene iniettato in un ricevente con gruppo sanguigno B, si verifica l’agglutinazione, cioè l’addensamento dei globuli rossi, che può interrompere il flusso della circolazione nei piccoli vasi sanguigni, causando danni agli organi. Questa reazione è poi seguita dall’emolisi, cioè la distruzione dei globuli rossi, che può portare alla morte.

Il sangue di tipo 0 non presenta antigeni né A né B, perciò è indicato come donatore universale e può essere trasfuso in qualsiasi ricevente. Invece, il sangue di tipo AB non presenta anticorpi né anti-A né anti-B, perciò è indicato come ricevente universale e può ricevere trasfusioni da qualsiasi altro gruppo.

Il sistema Rh. Un altro antìgene importante per la compatibilità sanguigna è il fattore Rh (da macaco rhesus, in cui è stato isolato la prima volta). Chi presenta il fattore Rh sui globuli rossi è Rh-positivo (più diffuso), chi non lo presenta è Rh-negativo (meno diffuso). Gli individui Rh-negativi normalmente non hanno anticorpi per il fattore Rh, ma li possono produrre se messi a contatto con esso. Il gruppo sanguigno solitamente include anche il fattore Rh, cioè un segno meno o più che indica il gruppo sanguigno: per esempio, una persona può avere gruppo sanguigno A-negativo, ossia A–, oppure 0-positivo, ossia 0+.

FIORI DI BACH

Edward Bach, gallese, classe 1886, iniziò ad interessarsi di omeopatia, sposando il principio in base al quale la cura va somministrata tenendo conto degli eventuali squilibri nella psiche del paziente.

Seguendo questo percorso pervenne ad una conclusione: le malattie sono in realtà̀ delle manifestazioni fisiche legate ad uno stato mentale tendenzialmente negativo; proprio per questo motivo ansia, stress ed altro indeboliscono le nostre difese e ci rendono inermi contro l’insorgere di una patologia.

La prima cosa da fare è quindi quella di “riequilibrare” la psiche del paziente; gli strumenti per poter effettuare tale operazione vennero individuati da Bach nei rimedi che ci vengono offerti dalla natura.
La successiva elaborazione di queste idee portò a quella che oggi viene conosciuta come la Terapia dei Fiori di Bach, ampiamente praticata in tutto il mondo.

Anche se da molti viene ritenuta una terapia semplice, il suo corretto utilizzo necessità di alcune accortezze: selezionare soltanto le essenze ritenute idonee su consiglio di uno specialista (solitamente il loro numero varia da una a sei), prelevare due gocce dal flacone e metterle in un altro flacone riempito d’acqua usando un contagocce da 30 ml.

Aggiungere adesso da otto a dieci gocce di grappa (preferibilmente priva di aromi) oppure del brandy, questo ci aiuterà a conservare il preparato.

In alternativa si può scegliere di acquistare il tutto già pronto presso le erboristerie o alcune farmacie.
Il prodotto verrà assunto nella misura di quattro gocce, per quattro volte al giorno, direttamente sulla lingua, tenendole pochi secondi in bocca prima di ingerirle.

L’intera gamma dei trentotto rimedi studiati dal dottor Bach è suddivisa in sette gruppi, ognuno dei quali si rivolge ad un preciso stato d’animo o, comunque, a situazioni psicologiche che influenzano il paziente e determinano una risposta negativa nella sua lotta contro il malessere che l’affligge.

Ad ogni modo, oggigiorno, i fiori di Bach vengono utilizzati soprattutto per trattare stati ansiosi, di paura e stati depressivi. Chiaramente, in presenza di patologie ansiose e depressive è sempre necessario l’intervento del medico specialista, sarà poi questa figura sanitaria a stabilire quale strategia terapeutica meglio si adatta a ciascun paziente.

I sostenitori della floriterapia sostengono che i citati rimedi rilascerebbero nell’acqua, se opportunamente trattati, la loro «energia» o «memoria», benché il concetto di “memoria dell’acqua” non trovi alcun riscontro nella letteratura scientifica.

AYURVEDA

Tradotto letteralmente ha il significato di “scienza della vita”, discende dalla millenaria esperienza medica che riguarda l’altrettanto antica tradizione indiana. Dal 2015 è integrata nel sistema sanitario indiano.
L’Ayurveda ha come scopo principale lo studio e la cura della salute non soltanto del nostro corpo ma anche della mente, oltre che la guarigione dalle malattie.

La malattia, così come la salute stessa, non risultano essere separate, ovvero catalogate come malattie del corpo e malattie della mente.

L’uomo viene visto come un essere perfettamente in sinergia con il cosmo e con le eterne leggi che regolano l’universo; il suo ammalarsi o rimanere in perfetta salute è quindi una diretta conseguenza del suo trovarsi in equilibrio o meno con il cosmo stesso.

La base filosofica che anima L’Ayurveda proviene dalla Samkhya (verità e conoscenza), un sistema di pensiero sviluppato nei secoli dai Rishi, gli antichi sapienti indiani.
Il pensiero ayurvedico identifica l’esistenza di tre forze (Dosha): Vata, l’aria; Pitta, il fuoco; Kapha, l’acqua.

Ognuno di noi conserva un insieme di queste tre forze, ognuno in percentuali diverse.
Per questo motivo esistono differenti tipi di persone, proprio perché in ognuno di noi il Dosha dominante è sempre diverso.

Le caratteristiche che identificano i Dosha sono essenzialmente tre e prendono il nome di Guna; queste le loro specifiche:

Vata: principio della propulsione
Il Dosha Vata rappresenta l’umore biologico dell’aria e suggerisce l’immagine di movimento (Vata significa movimento).
Da questo principio dipendono tutti i movimenti che si producono all’interno del nostro organismo, siano essi muscolari, scheletrici o a livello biologico, compresa la respirazione.
Vata controlla anche il nostro sistema nervoso, sia quello centrale che quello periferico; per queste sue caratteristiche riveste un ruolo di primaria importanza agendo anche come principio regolatore.
Anatomicamente risiede nel colon e influenza le gambe, le orecchie, il cervello, la pelle e le ossa.
La sua composizione prevalente è formata da aria ed etere; le sue qualità̀ principali sono la fluidità̀, la leggerezza e la mobilità.

Pitta: principio della trasformazione

Pitta rappresenta il fuoco e il suo umore biologico.
Viene associato ai processi digestivi, alla trasformazione cellulare, alle sfere emotiva e psicologica.
La sua sede è nell’intestino tenue ma è rintracciabile anche nel fegato, nello stomaco, nel cuore, negli occhi e nella milza.
Gli elementi che lo compongono sono acqua e fuoco, mentre le sue qualità̀ riguardano la mobilità, la leggerezza e la fluidità̀.

Kapha: principio del consolidamento

Kapha si riferisce all’umore biologico dell’acqua, assolve ad una funzione di coesione e possiede la capacità di unire.
Rappresenta il Dosha più materiale, è composto da acqua e terra e protegge la stabilità dei tessuti.

Khapa, infine, è legato alla nostra alimentazione: una persona in armonia con il proprio corpo dovrebbe essere in grado di trasformare il cibo che ingerisce in energia, proprio per questo, in presenza di una cattiva digestione, si produce khapa in eccesso e conseguente perdita di salute.

Questo principio è riferito in merito al diabete di tipo 2; la medicina ayurvedica pone molta attenzione al processo di metabolismo degli zuccheri che ritiene sia la causa di questa grave malattia; questa teoria si sposa con i risultati ottenuti dalle osservazioni effettuate nell’ambito della medicina moderna e ufficiale, in particolare per quel che riguarda l’accumulo di grasso corporeo visto come causa del fenomeno che porta le cellule a resistere all’azione metabolica dell’insulina.

L’alimentazione Ayurvedica, infine, è prevalentemente di tipo vegetariano, con pochi grassi e particolare attenzione alle fibre; i cibi maggiormente consigliati sono quelli ricchi di carboidrati complessi.  E’ inoltre consigliato di effettuare un esercizio fisico appropriato.

Dal punto di vista della medicina occidentale non vi è alcuna prova scientifica che l’ayurveda sia efficace per il trattamento di una qualsiasi malattia.

FIBROMIALGIA

La fibromialgia è una sindrome muscolo-scheletrica a lungo termine che causa dolore ed affaticamento.    Chiunque può sviluppare la sindrome fibromialgica, ma di fatto si verifica 7 volte più frequentemente nelle donne che negli uomini.    Compare in genere tra i 30 e i 50 anni, ma sono possibili casi a qualsiasi età (bambini e anziani compresi).

Ad essere colpiti sono soprattutto muscoli e tendini ma, nonostante assomigli ad una patologia articolare, non si tratta di artrite e non causa deformità delle articolazioni.

Il sintomo chiave della fibromialgia è la presenza di specifici punti (su collo, spalle, braccia, gambe, schiena e fianchi) dolorosi alla pressione, ma spesso sono presenti anche altri sintomi come:

  • disturbi del sonno,
  • rigidità mattutina,
  • mal di testa,
  • alterazioni del ciclo mestruale,
  • formicolio o intorpidimento delle estremità (mani e piedi),
  • disturbi a pensiero ememoria.

 

Fino al 90% dei malati di fibromialgia accusa affaticabilità, stanchezza e difficoltà nel dormire, in forma di :

  • difficoltà a prendere sonno,
  • frequenti risvegli

e sensazione di non aver riposato a sufficienza.

Le persone colpite da fibromialgia hanno in genere una soglia del dolore molto bassa.

Non esiste ad oggi una cura per guarire dalla fibromialgia, ma i medici hanno a disposizione molteplici farmaci e opzioni terapeutiche per aiutare a controllare e gestire i sintomi, tra cui anche

  • l’esercizio fisico,
  • le tecniche di rilassamento
  • e la riduzione dello stress.

Per quanto riguarda i farmaci sono utilizzati

  • paracetamolo (Tachipirina, Efferalgan, Acetamol),antinfiammatori, antidolorifici (ad esempio il tramadolo, nome commerciale Contramal);
  • per migliorare la qualità del sonno si prescrivono spessoantidepressivi e miorilassanti (Flexiban, Lyseen, Muscoril);
  • gabapentin (Neurontin) e pregabalin (Lyrica), ossia farmaci per il dolore neuropatico, che danno risultati apprezzabili solo in una parte di pazienti.

SISTEMA LINFATICO (8° lezione 23/03/2023)

Il sistema linfatico, che è strettamente associato con il sistema cardiovascolare, svolge quattro funzioni omeostatiche:

  • I capillari linfatici assorbono il liquido interstiziale in eccesso e lo riportano nel circolo sanguigno.
  • Nell’intestino tenue i capillari linfatici, chiamati vasi chiliferi, assorbono i grassi sotto forma di lipoproteine e li riversano nel flusso sanguigno.
  • il sistema linfatico è responsabile della produzione, del mantenimento e della distribuzione dei linfociti.
  • il sistema linfatico aiuta a difendere il corpo contro gli agenti patogeni.

I vasi linfatici formano un sistema a senso unico che parte dai capillari linfatici, piccoli vasi chiusi a un’estremità diffusi nella maggior parte dei distretti del corpo.

I capillari linfatici si uniscono a formare vasi linfatici di calibro via via maggiore che, al termine del loro percorso, si riversano nel dotto toracico o nel dotto linfatico destro. Il dotto toracico, più grosso, riporta la linfa alla vena succlavia sinistra; il dotto linfatico destro riporta la linfa alla vena succlavia destra.

Fanno parte del sistema linfatico:

Il timo è una ghiandola di consistenza morbida e di forma bilobata posta nella cavità toracica, tra la trachea e lo sterno, ventralmente al cuore.     Mentre i linfociti B sono prodotti in forma matura nel midollo osseo, i linfociti T (o cellule T) migrano dal midollo osseo attraverso il sangue nel timo, dove maturano. Inoltre, il timo produce gli ormoni timici, come la timosina, implicati proprio nel processo di maturazione dei linfociti T. Il timo può avere dimensioni variabili, ma è più grosso nei bambini e tende a ridursi con l’età; nelle persone anziane è persino difficilmente identificabile.

I linfonodi sono piccole strutture ovoidali (da 1 a 25 mm di diametro) dislocate lungo i vasi linfatici. Ogni linfonodo presenta al suo interno numerosi spazi chiamati seni; quando la linfa scorre nei seni viene filtrata dai macro-fagi, globuli bianchi che fagocitano detriti e agenti patogeni. All’interno e intorno ai seni dei linfonodi sono presenti anche molti linfociti B e linfociti T. Il gonfiore dei linfonodi del collo è spesso indice di un’infezione in corso.

La milza è posizionata nella parte superiore laterale sinistra della cavità addominale, dietro allo stomaco. Gran parte dell’organo è formato da polpa rossa, che ha il compito di filtrare il sangue, costituita da vasi e seni sanguigni al cui interno i macrofagi rimuovono le cellule del sangue vecchie o difettose. La milza contiene anche polpa bianca, che si trova all’interno della polpa rossa ed è costituita da piccoli ammassi di tessuto linfatico in cui si accumulano linfociti B e linfociti T. La capsula esterna della milza è relativamente sottile, cosicché un’infezione o un trauma possono provocare la rottura dell’organo. Sebbene le funzioni della milza possano essere rimpiazzate dal lavoro di altri organi, una persona priva della milza spesso risulta leggermente più suscettibile alle infezioni e può quindi richiedere una terapia antibiotica preventiva continua.

DIFESA CONTRO LE MALATTIE – DIFESE ASPECIFICHE

il nostro corpo si è evoluto acquisendo delle difese aspecifiche, cioè generali, e delle difese specifiche, cioè mirate rispetto alle diverse minacce.

Le difese aspecifiche si attivano automaticamente, poiché sono dei meccanismi innati. Infatti, nessun tipo di memoria è coinvolto, dato che non vi è riconoscimento dell’«intruso» che si contrasta, come accade invece nelle difese specifiche, che sono dirette contro particolari agenti patogeni e per le quali è coinvolta una memoria immunitaria. Fanno parte delle difese aspecifiche i fagociti e le cellule natural Killer

fagociti. Alcuni tipi di cellule del sangue hanno la capacità di fagocitare i microbi e nel complesso sono chiamati fagociti: si tratta di neutrofili, eosinofili, macrofagi e cellule dendritiche.

  • I neutrofili sono cellule capaci di fuoriuscire dal flusso ematico e fagocitare i batteri nei tessuti connettivi. Essi, tuttavia, uccidono i batteri anche in altri modi, per esempio i loro granuli (alla superficie della cellula) rilasciano peptidi antimicrobici detti difensine.
  • Gli eosinofili sono anch’essi fagocitici ma sono meglio conosciuti per l’aumento di concentrazione seguito dall’attacco diretto contro parassiti animali, come la tenia, che sono troppo grossi per essere fagocitati.

I globuli bianchi fagocitici più potenti sono però i macrofagi e le cellule dendritiche.

Le cellule dendritiche si trovano sulla pelle: una volta inglobati i microbi si dirigono ai linfonodi, dove stimolano l’attività delle cellule natural killer e dei linfociti. I macrofagi si trovano in tutti i tipi di tessuto, dove inglobano con grande efficienza agenti patogeni e stimolano i linfociti a sviluppare l’immunità specifica.

Le cellule natural killer (NK) sono grossi linfociti granulari che uccidono le cellule infettate da virus e le cellule cancerose per contatto diretto. Le cellule NK svolgono il proprio ruolo mentre le difese specifiche si stanno ancora organizzando e producono delle citochine che stimolano questa preparazione. Per prima cosa, le cellule NK normalmente si concentrano nelle tonsille, nei linfonodi e nella milza, dove vengono stimolate dalle cellule dendritiche prima che se ne allontanino per svolgere il proprio compito.

DIFESA CONTRO LE MALATTIE – DIFESE SPECIFICHE

Quando le difese aspecifiche si siano rivelate inadeguate per de- bellare un’infezione, entrano in gioco le difese specifiche.

L’immunità è completa quando una sostanza estranea non è in grado di causare un’infezione né ora né in futuro, oppure quando l’organismo è in grado di contrastare efficacemente il cancro.

Una difesa specifica richiede che l’organismo sia capace di riconoscere una particolare molecola, chiamata antìgene.

Alcuni antìgeni per il nostro corpo sono antìgeni non-self, cioè estranei, poiché non li produciamo noi stessi.         Agenti patogeni, come batteri e virus e anche organi e tessuti trapiantati da donatore, portano antìgeni che il nostro sistema immunitario riconosce come estranei.         Altri antìgeni sono invece chiamati antìgeni self, cioè propri, perché il nostro stesso corpo li produce. Vi sono diversi casi in cui, sfortunatamente, il sistema immunitario reagisce in modo improprio attaccando le proprie cellule pancreatiche (causando il diabete mellito) o le guaine mieliniche che rivestono le fibre nervose (causando la sclerosi multipla) o le cellule di altri tessuti.

Si determina in questo modo la comparsa di malattie chiamate nel loro complesso autoimmuni.

Per fortuna molto spesso il nostro sistema immunitario intercetta e distrugge le cellule cancerose, proprio perché presentano sulla loro superficie proteine anomale e sono riconosciute come estranee.

La reazione specifica e la memoria immunitaria.

Dopo il riconoscimento degli antìgeni, il sistema immunitario può innescare una risposta specifica. Diversamente dalle difese aspecifiche, che intervengono immediatamente dopo il contatto con un patogeno, sono necessari da cinque a sette giorni perché le difese specifiche si attivino. Un terzo aspetto, molto importante, è che il sistema immunitario ha una propria memoria, cioè può memorizzare gli antìgeni con cui sia venuto in contatto in precedenza. Questa è la ragione per cui, per esempio, una volta che abbiamo avuto il morbillo (una malattia virale), di solito non lo contraiamo una seconda volta. Il tempo di reazione per una difesa aspecifica è sempre all’incirca lo stesso ma, se l’organismo è immune a un antìgene noto, il tempo di reazione per la difesa specifica a un nuovo contatto è piuttosto breve

Le difese specifiche dipendono principalmente da due tipi di linfociti, chiamati linfociti B e linfociti T, entrambi prodotti dal midollo osseo rosso; i linfociti B maturano in questa stessa sede, mentre i linfociti T maturano nella ghiandola del timo. Queste cellule hanno la capacità di riconoscere gli antìgeni grazie a recettori per gli antìgeni (BCR e TCR) specifici, che si legano ad essi. Ciascun linfocita ha recettori che si combinano esclusivamente con un solo tipo di antìgene. Se un certo linfocita B risponde a un dato antìgene, per esempio una molecola che sporge in superficie dal batterio Streptococcus pyogenes, non reagisce ad alcun altro antìgene. La specificità dei linfociti B e/o dei linfociti T è talmente elevata che durante la maturazione questi globuli bianchi possono differenziarsi per qualsiasi antìgene possiamo incontrare nella vita.

I linfociti B sono responsabili dell’immunità mediata da anticorpi. Una volta legato a un antìgene, un linfocita B si differenzia in una plasmacellula, che produce anticorpi specifici; tali anticorpi possono reagire con lo stesso antìgene, proprio come il linfocita B originario: perciò, un anticorpo ha la stessa specificità dei recettori dei linfociti B. Alcune cellule discendenti dei linfociti B attivati di- ventano linfociti B della memoria, così chiamati perché si «ricordano» per sempre un dato antìgene e rendono l’organismo immune alla malattia ad esso collegata, ma non a qualsiasi altra.

Una plasmacellula è un linfocita B che non assume funzioni di memoria, ma modifica radicalmente il proprio assetto per adeguarsi alla funzione di fabbrica di anticorpi (cosa che non avviene nel linfocita B di memoria.

Molti linfociti B inattivi «pattugliano» i sistemi linfatico e circolatorio; sulla loro membrana plasmatica si trovano delle immunoglobuline dette anticorpi, ciascuna specifica per un dato antìgene.    Quando un linfocita B inattivo incontra proprio quell’antìgene, si attiva e comincia a proliferare.

Il linfocita B attivato dal legame con l’antìgene si divide rapidamente producendo plasmacellule, che secernono anticorpi, e cellule della memoria, che garantiscono l’immunità a lungo termine.

VACCINI

La vaccinazione (immunizzazione attiva) ha come obiettivo quello di ricreare artificialmente in un soggetto recettivo ad una determinata malattia infettiva un’immunità̀ attiva attraverso l’utilizzo di sostanze (vaccini) idonee a funzionare da stimolo antigenico provocando le modificazioni tessutali e umorali necessarie per assicurare la difesa contro la sostanza infettiva senza però esporre l’organismo ai pericoli di quest’ultima.

Tutto ebbe inizio con Edward Jenner nell’ultimo decennio del XVIII secolo che ebbe l’idea di utilizzare per l’immunizzazione del materiale proveniente da lesioni del vaiolo bovino anziché́ umano. Il vaiolo bovino può̀ colpire anche l’essere umano, ma lo fa in maniera molto più̀ lieve rispetto al vaiolo umano. Ad una mungitrice di mucche che aveva contratto il vaiolo bovino, egli estrasse il siero dalle pustole presenti sulle mani e lo inoculò in un bambino di 8 anni attraverso due incisioni sul braccio. Sei settimane più̀ tardi, Jenner infettò il bambino con il virus del vaiolo umano: il bambino non contrasse la malattia. Questo dimostrava che la sua ipotesi era corretta.

Il metodo fu denominato ‘vaccinazione’ proprio perché́ il siero utilizzato era di origine vaccina.

I vaccini possono essere distinti, in base alla loro costituzione, in due grandi tipologie: vivi attenuati e inattivati.
I vaccini vivi attenuati vengono prodotti selezionando delle varianti apatogene (o scarsamente patogene) del microrganismo in questione che conservano tuttavia la capacità di indurre una risposta immunitaria adeguata nell’ospite. Dal momento che nel caso dei virus la selezione di varianti apatogene dotate di proprietà antigene adeguate e non soggette a mutazione inversa nei riguardi della patogenicità è più agevole di quanto non lo sia per i batteri, i vaccini vivi attenuati virali sono più numerosi di quelli batter.

Un vaccino inattivato è allestito uccidendo innanzitutto il microrganismo responsabile della malattia, di solito mediante agenti chimici o calore e procedendo ad elaborazioni successive a seconda dei casi; questi vaccini possono contenere infatti il germe intero o componenti di esso.

Vaccini vivi attenuati

Per sviluppare un vaccino costituito da batteri o virus attenuati viene usata una variante geneticamente attenuata isolata da un paziente con una forma lieve di malattia oppure l’attenuazione viene indotta opportunamente con artifizi dilaboratorio, tramite passaggi ripetuti su particolari terreni di coltura o in presenza di condizioni ambientali in grado di ridurre fortemente la virulenza dell’agente patogeno. A prescindere dalla metodica adoperata, il punto chiave è che il microrganismo contenuto in questa tipologia di vaccini deve potersi replicare nell’organismo ospite per poter stimolare una risposta immunitaria e generare conseguentemente una protezione; è importante notare che tale reazione immune è virtualmente identica a quella generata dall’infezione naturale giacché il nostro sistema immunitario non discrimina tra forme selvagge e varianti attenuate del germe. Nella maggior parte dei casi sarebbe necessaria una sola dose di vaccino somministrato per via iniettiva (sottocute) per ottenere una protezione valida, tuttavia dato che una piccola (e imprevedibile) percentuale di soggetti vaccinati non risponde adeguatamente alla prima dose, si consiglia comunque una dose di richiamo.

I vaccini vivi attenuati sono influenzati negativamente dalla presenza in circolo di anticorpi (per es. a seguito di trasfusioni, somministrazioni di immunoglobuline o di origine materna) diretti verso l’antigene; la risposta dell’ospite può risultare in tal caso limitata, soprattutto nel caso del virus del morbillo. Per questa ragione bisogna considerare un sufficiente intervallo di tempo fra la somministrazione di sangue o di prodotti di derivazione ematica (immunoglobuline) e l’inoculazione di vaccini vivi.

Il principale inconveniente di questa classe di vaccini è rappresentato dalla possibilità che si manifestino effetti collaterali anche gravi a causa della replicazione incontrollata del germe nell’organismo ospite: in realtà ciò si può verificare solo in soggetti immunodeficienti (per es. affetti da leucemia o in trattamento con determinati farmaci) per i quali è comunque sconsigliata la somministrazione di questi prodotti.

In linea teorica è possibile che un microrganismo attenuato possa, una volta inoculato nell’organismo ospite, subire una retromutazione tornando alla forma selvaggia determinando la malattia naturale; tale possibilità, già di per sé remota, è stata dimostrata solo per il vaccino orale antipoliomielitico tipo Sabin (non più utilizzato in Italia) che si è reso responsabile di poliomielite paralitica associata al vaccino (VAPP) con una frequenza di 1/750.000.

Trattandosi di microrganismi vivi, questi vaccini devono essere conservati in condizioni particolari essendo molto sensibili alla luce e al calore.

                                             Vaccini vivi-attenuati disponibili in Italiapage11image2446416page11image2448288 page11image2448704

Antitifico (orale)

Antitubercolare (BCG)

Antimorbillo-rosolia-parotite

Antivaricella Antizoster

Anti febbre gialla

Anti rotavirus Antiencefalite da zecca (TBE)

Un vaccino inattivato viene realizzato permettendo inizialmente al batterio di crescere in un terreno di coltura o al virus di propagarsi nella linea cellulare, dopodiché i microrganismi vengono inattivati (uccisi) mediante calore o meglio ancora tramite agenti chimici (di solito formalina). Nel caso si debba utilizzare solo una parte del germe (vaccino frazionario), il microrganismo viene ulteriormente trattato per purificare quei componenti necessari alla preparazione del vaccino.

Trattandosi di vaccini ‘uccisi’ non si possono replicare nell’ospite e pertanto non c’è alcuna possibilità che causino la malattia corrispondente nel soggetto, anche se fosse immunodeficiente.

Per la stessa ragione non vengono influenzati dalla presenza di anticorpi circolanti ma necessitano sempre di somministrazioni multiple: in linea di massima la prima dose non riesce a indurre un’immunità protettiva ma svolge un ruolo di primer per il sistema immunitario; dopo la seconda somministrazione (e in alcuni casi la terza) si sviluppa una risposta immune consistente. Quest’ultima, a differenza di quanto avviene con i vaccini vivi, non ricalca la reazione caratteristica dell’infezione naturale, ma è prettamente di natura umorale poiché essendo impossibilitata la replicazione del germe, si inibisce anche la capacità di produrre proteine citosoliche.

SISTEMA NERVOSO AUTONOMO (9° lezione 30/03/2023)

Il sistema autonomo del sistema nervoso periferico regola in modo automatico e involontario l’attività̀ delle ghiandole, del muscolo cardiaco e dei muscoli lisci, ed è suddiviso in due parti: la divisione parasimpatica e la divisione simpatica, la cui attivazione in genere ha effetti opposti. Entrambe le divisioni: (1) funzionano in modo automatico e di solito involontario; (2) innervano tutti gli organi interni e (3) utilizzano due neuroni motòri e un ganglio per ogni impulso: il primo neurone ha il corpo cellulare all’interno del SNC e una fibra pregangilare (prima del ganglio); il secondo neurone ha il corpo cellulare nel ganglio e una fibra postgangliare (dopo il ganglio).

Le azioni riflesse, come quelle che regolano la pressione sanguigna e il ritmo della respirazione, sono particolarmente importanti per l’omeostasi. Tali riflessi hanno inizio quando i neuroni sensoriali a contatto degli organi interni mandano informazioni al SNC; i riflessi si chiudono grazie al lavoro dei neuroni motòri del sistema autonomo.

La divisione parasimpatica. La divisione parasimpatica, che utilizza l’aceticolina come neurotrasmettitore, comprende alcuni nervi cranici (come il nervo vago) e gli assoni che emergono dall’ultima porzione del midollo spinale. Questa divisione promuove tutte quelle risposte interne associate allo stato di riposo e digestivo, per esempio provoca la costrizione delle pupille, stimola la digestione e rallenta il ritmo cardiaco.

La divisione simpatica. Gli assoni (prolungamenti principali delle cellule nervose che conducono gli impulsi dal corpo cellulare alla periferia) della divisione simpatica si originano dalla porzione toracica e lombare del midollo spinale. Questa divisione è importante nelle situazioni di emergenza ed è associata con le reazioni dette del «combatti o fuggi». Se ti trovi in una situazione in cui devi affrontare fisicamente un nemico o fuggirne, l’attivazione dei muscoli necessari richiede una immediata fornitura di glucosio e di ossigeno. Da un lato, la divisione simpatica accelera il battito cardiaco e dilata i bronchi, mentre inibisce l’attività del sistema digerente. La divisione simpatica utilizza il neurotrasmettitore norepinefrina, simile all’epinefrina (o adrenalina), un ormone della midollare surrenale che aumenta il ritmo cardiaco e la contrattilità muscolare.

SISTEMA LIMBICO

Il sistema limbico è una complessa rete di tratti e di nuclei nervosi. Nel sistema limbico le funzioni mentali superiori e le emozioni primarie si intrecciano in un insieme inscindibile. Il suo ruolo ci spiega perché il mangiare e l’attività sessuale, per esempio, sono associate al piacere e anche perché lo stress mentale può far alzare la pressione sanguigna.

Due strutture significative del sistema limbico sono l’ippocampo e l’amigdala, essenziali per l’apprendimento e la memoria. L’ippocampo (ricorda la forma di un cavalluccio marino) si trova in profondità nel lobo temporale. L’amigdala, in particolare, è responsabile delle sfumature delle emozioni. Per esempio, l’odore di fumo non solo ci segnala che potrebbe esserci un incendio nella stanza in cui ci troviamo, ma crea uno stato emotivo di allerta e, poiché anche il lobo frontale fa parte del sistema limbico, dovremmo essere in grado di analizzare la situazione di pericolo e di metterci in salvo.

L’apprendimento e la memoria.

La memoria è la capacità di tenere a mente un pensiero o di ricordare eventi del passato, da una nuova parola che abbiamo imparato il giorno prima a un’esperienza emotiva che ha segnato la nostra vita. L’apprendimento ha luogo quando siamo in grado di acquisire e quindi utilizzare queste memorie.

Il lobo frontale è attivo per la memoria a breve termine, come quando ricordiamo brevemente un numero di telefono o un indirizzo. Tuttavia, alcuni numeri di telefono vengono ripetuti molte volte e quindi entrano nella memoria a lungo termine; inoltre, se si associa il numero di telefono a una persona o a un luogo che ci sta a cuore, sarà molto più facile ricordarlo, perché, tipicamente, la memoria a lungo termine è una miscela di memoria semantica (numeri, parole ecc.) e memoria episodica (persone, eventi ecc.). La memoria procedurale, invece, può esistere indipendentemente da quella episodica: ci permette di svolgere attività motorie che è difficile scordare e che diventano in qualche modo automatiche, come andare in bicicletta, guidare un’automobile o giocare a basket.

I ricordi a lungo termine sono immagazzinati in piccole quantità discrete e frammenti distribuiti nelle aree sensoriali della corteccia cerebrale. L’ippocampo immagazzina queste informazioni per il lobo frontale, che le usa per ricordare eventi o persone del passato. Alcuni ricordi legati alle emozioni transitano attraverso l’amigdala, la quale associa una persona particolare o un evento drammatico alle informazioni sensoriali ricevute dal talamo e dalle aree sensoriali della corteccia. Questa associazione rende i ricordi praticamente indelebili.

Eccitotossicità e malattia di Alzheimer.

Il potenziamento a lungo termine è una risposta neuronale enfatizzata che si verifica presso le sinapsi, riscontrabile in particolare nell’ippocampo. Si ritiene essenziale per l’immagazzinamento dei ricordi, tuttavia, sfortunatamente talvolta causa un’eccessiva eccitazione del neurone postsinaptico, tanto da indurlo all’apoptosi. Questo fenomeno, detto eccitotossicità, è dovuto alla presenza di un recettore della membrana postsinaptica per il glutammato malfunzionante a causa di una mutazione genetica. La graduale e lenta morte delle cellule cerebrali sembra la causa prioritaria della malattia di Alzheimer, caratterizzata da una graduale perdita della memoria e da cambiamenti comportamentali e delle capacità cognitive.

ASSE IPOTALAMO - IPOFISI - SURRENE

L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (hypothalamic – pituitary – adrenal, HPA) è il principale mediatore ormonale della risposta allo stress; in situazioni stressanti, infatti, viene interessato l’Ipotalamo, il quale stimola una reazione neuroendocrina vitale per il mantenimento dell’omeostasi (mantenimento dell’equilibrio interno).

L’attivazione dell’ippotalamo induce il rilascio di corticotropina (Corticotropin Releasing Hormone = CRH) nel circolo portale ipofisario, il CRH raggiunge l’ipofisi anteriore e stimola l’emissione dell’ormone adrenocorticotropo (Adrenocorticotropic hormone = ACTH).

L ’ ACTH viene rilasciato dall’ipofisi nel circolo sistemico e raggiunge la corteccia surrenale dove induce la produzione e secrezione di cortisolo e adrenalina.

Queste sostanze stimolano l’attenzione e la generale “attivazione” dell’organismo, e mentre il sistema ipotalamico modula le sensazioni dolorose incrementando l’analgesia. Nel complesso, la risposta allo stress promuove i processi adattativi che includono l’aumento dell’appetito, la funzione immunitaria e la memoria degli eventi.

Il cortisolo svolge dunque una duplice azione: da una parte sostiene l’omeostasi dell’organismo di fronte alla minaccia, aumentando, la disponibilità di energia, incrementa, inoltre, la pressione arteriosa per sostenere un eventuale sforzo fisico e favorisce l’immunoreattività; dall’altra parte, chiude un circuito a feedback negativo inibendo l’ulteriore attivazione dell’HPA; esercita, cioè, un feedback negativo sull’ACTH e sul CRH ipotalamico.

A tal fine il cortisolo interagisce con i recettori per i glucocorticoidi a livello dell’ippocampo, dell’ipotalamo e dell’ipofisi.

La contraddizione interna di tale sistema consiste nella differenza tra gli effetti a breve e lungo termine dei glucocorticoidi. Infatti, i glucocorticoidi, quando secreti in modo transitorio, aiutano la sopravvivenza poiché mobilizzano l’energia, aumentano il tono cardiovascolare e potenziano l’attività immunitaria, ma l’eccesiva quantità di glucocorticoidi può aumentare il rischio di ipertensione, diabete mellito II, ulcera gastro-duodenale e soppressione immunitaria.

Il CRH non funziona solo da fattore endocrino di rilascio di ACTH, ma è anche dotato di funzioni modulatorie e neuroprotettive. Infatti, esso è presente nella corteccia cerebrale, nel sistema limbico (amigdala), nel tronco encefalico e nella corticale del surrene con un asse ultracorto CRH-ACTH-cortisolo che consentirebbe l’attivazione periferica del sistema

La secrezione del CRH modifica, a livello corticale, le risposte cognitive e comportamentali, nel sistema limbico le reazioni emotive e, attraverso il tronco encefalico, le risposte autonomiche.

Inoltre, il CRH è dotato di azioni ansiogeniche, inibisce l’appetito e i processi infiammatori, mentre quando il CRH è secreto perifericamente stimola l’infiammazione a livello locale.